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Skull Above the Cannon
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No New – Skull Above the Cannon, dalla Sicilia a Londra

“Dagos” è il titolo dell’album con cui gli Skull Above the Cannon compiranno il proprio ritorno sulle scene, dopo l’omonimo EP di esordio che nel 2015 ha fatto scoprire ed apprezzare a pubblico e critica il sound della band catanese.

Nel frattempo, il trio alternative rock composto da Giulio Matheson (chitarra e voce),  Daniele Giustolisi (batteria) ed Ettore Scuderi (basso) si è trasferito oltremanica, compiendo un’importante scelta di vita e trovando presto l’opportunità di registrare a Londra il nuovo album, già in gran parte composto in Italia.

Abbiamo realizzato un’interessante intervista nella quale Giulio e Daniele ci parlano del nuovo album, della vita londinese e delle aspirazioni degli Skull Above the Cannon, in attesa di poter finalmente ascoltare il nuovo disco.

Siamo rimasti molto colpiti dal vostro moniker “Skull above the Cannon”, un moniker altisonante che suggerisce idee piratesche e guerriere: ci raccontate come lo avete scelto e quale significato ha per voi?

Daniele – In realtà una cosa forse meno esaltante, si tratta di una traduzione letterale di un verso di una canzone folk siciliana famosissima che ovviamente non vi diciamo. Con la nostra musica e con i testi in inglese sapevamo di essere proiettati in una dimensione estera ed è stato molto naturale scegliere un nome che richiamasse le nostre origini, ma in un’altra lingua.

Il vostro percorso artistico è assai particolare: avete composto e registrato un album ormai due anni or sono, ma solo adesso avete modo di pubblicarlo per una label inglese, in seguito al vostro trasferimento a Londra. Cosa vi ha portati a questa scelta radicale ed a questa lunga attesa? 

Daniele – Siamo maniacali in tutto quello che riguarda la nostra produzione, ai limiti del patologico. Ma siamo anche molto rispettosi del nostro lavoro e di chi collabora con noi. Anche se può essere un impulso contemporaneo, non ci andava di pubblicare indiscriminatamente la nostra musica e le opere ad essa correlate. Sapevamo che il disco sarebbe potuto rimanere per molto tempo nei nostri hard disk, almeno fino a quando non avremmo avuto determinate condizioni di pubblicazione. Per noi non è stato un problema, ci siamo messi subito a lavoro e tuttora lo siamo per il secondo album. 

“Dagos”, titolo dell’album finalmente in uscita alla fine dell’estate, è uno dei termini con cui in America venivano identificati in passato i migranti dai Paesi latini: con quale intento lo avete scelto come titolo? Ci potete parlare dei temi affrontati nel disco?

Giulio – ‘Dagos’ è il nostro antenato migrante, è lontano da casa, è disprezzato, e sarebbe disposto ad attraversare l’oceano a nuoto pur di rivedere i propri cari e la propria terra, ma il suo cammino lo ha portato ad una distanza incolmabile. ‘Dagos’ è il freddo gelido di un amore inespresso, paura della morte come paura di vivere, dunque un invito ad accendersi ed agire, a sostenere il peso della propria esistenza ed esprimersi creativamente. ‘Dagos’, infine, è la Bonus Track dell’album a cui dà il titolo, che potrà essere scaricata acquistando il pre-order.

Come vi trovate in Inghilterra? Avete trovato buona accoglienza, nonostante il controverso periodo legato alla questione della “Brexit”?

Giulio – Ci siamo ambientati molto bene, siamo venuti qui con obiettivi molto chiari. Londra è una città multietnica ed inclusiva, tanto che la sola parola “Brexit” applicata alla realtà che ci circonda suona più come un principio metafisico surreale che può essere stato concepito solo da ricchi egomaniaci privi di etica e lungimiranza.

Vi definite un “alternative metal trio”: a chi vi ispirate in particolare e quali sono i vostri obiettivi artistici?

Giulio – Le nostre influenze sono molto varie. I suoni distorti e i testi in inglese prendono spunto da band come Uzeda, Tool, Melvins, Primus, ma ascoltiamo di tutto: folk, pop, blues, grunge, musica elettronica, etc… non ci facciamo mancare nulla. 

Nella scrittura dell’album ci siamo ispirati in parte alla letteratura e alla mitologia siciliana, ma anche a personaggi assurdi ed esperienze paradossali della nostra vita. Abbiamo cercato di raccontare le contraddizioni bizzarre che emergono dalla mentalità e dalle interazioni sociali tra siciliani, per esprimere sentimenti universali come l’amore, il dolore, l’attaccamento, il distacco, la morte, la redenzione. Inoltre, l’aggiunta di strumenti del folklore siciliano (suonati da Giorgio Maltese) in fase di produzione, vuole enfatizzare il contrasto tra la globalizzazione che apparentemente ci connette tutti e le identità culturali che sembrano svanire nella confusione di un mondo tutto mischiato. Ci piace pensare che questo contrasto trovi un punto di giunzione nella nostra musica.

Il fatto di pubblicare il disco con una label inglese è nato prima o dopo il vostro trasferimento oltremanica? 

Daniele – È stata una coincidenza forse un po’ voluta. Ma Londra come Catania sono solo degli spazi geografici, divenuti certo luoghi per noi importanti. Oggi per fortuna, grazie soprattutto a Internet, è possibile scorporare spazio e tempo e la musica, come altre cose, può arrivare ovunque. L’incontro con Simon Fairchild è stato casuale, abbiamo conosciuto la sua etichetta (Milky Bomb Records) durante un nostro live a Londra condiviso con una band del suo roster (Megalomatic) e da lì è nata nel tempo la nostra collaborazione.

Da isola… ad isola: come vedete la curiosa coincidenza che vi ha portato a trasferirvi dalla vostra terra di origine, una delle più belle isole del Mediterraneo, ad un’altra terra insulare dalla cultura diametralmente opposta?

Giulio – Essendo isolani credo che istintivamente ci culli sapere di essere circondati dal mare; anche se é naturale che ci manchi il Mediterraneo e la nostra isola in cui manteniamo e coltiviamo rapporti con realtà locali emergenti, come ad esempio i ragazzi di Tifone Crew, che lavorano sodo per portare musica inedita da tutta Italia sui palchi underground siciliani. Qui in Inghilterra invece abbiamo l’opportunità di conoscere culture diverse e crescere professionalmente.

Oltre alla musica ci sono tante arti legate al vostro progetto, fotografia e cinema in primis: da cosa nasce questo approccio “multimediale”?

Daniele – Ci viene molto spontaneo. Tra noi abbiamo un immaginario molto simile che condividiamo e nutriamo grazie ai nostri percorsi individuali. Credo che soprattutto oggi un discorso musicale non possa essere scisso da quello visuale, motivo per cui cerchiamo di collaborare con artisti e autori che stimiamo molto. Tutto l’artwork del disco per esempio è stato curato da Gianluca Gambino (in arte Tenia), un digital artist pazzesco.

Domanda Nonsense: “nemo propheta in patria”, secondo voi è un motto vero ancora oggi?

Daniele – Non so. Nel nostro caso non ci sentiamo profeti, né degli incompresi. Inoltre per noi il concetto di patria è molto relativo, forse inattuale. La nostra non è stata una fuga rabbiosa dalla nostra terra, avevamo semplicemente il desiderio di nuovi spazi per le nostre vite. La Sicilia, Catania sono luoghi dell’anima che ci hanno fatto incontrare e da dove provengono molte delle suggestioni che riversiamo anche nella nostra musica. Certo, ci portiamo dietro, come tante altre persone, delle frustrazioni, delle sofferenze legate anche alla nostra terra ma cerchiamo di dargli una forma positiva, artistica, narrativa, polisemica come è accaduto in alcuni brani del disco. Per esempio, l’eterno problema dei trasporti che caratterizza il meridione è diventato un brano del disco che racconta quasi a mo’ di favola una discesa verso sud infinita, impossibile, senza arrivo… che se vuoi può essere  anche una metafora profonda di un sud dell’anima selvaggio, inafferrabile e mitico.

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