“By The Deep Sea” è il nuovo lavoro di Federico Albanese, un album onirico ed evocativo che esce in questi giorni per la Neue Meister/Berlin Classics, a due anni dal precedente: “The Blue Hour”.
Albanese, musicista milanese ma berlinese d’adozione, ci offre un mirabile esempio di modern neo-classica in cui il pianoforte e le linee elettroniche sono tutt’uno.
Il viaggio cui lo spettatore è chiamato, è originato da moti personali. L’artista stesso afferma che un lavoro strumentale può essere altrettanto intimo. Non a caso il primo brano ‘682 Steps’ è stato ispirato da un sentiero roccioso che, partendo dalla casa di famiglia arriva sino al mare, un luogo certamente pieno di ricordi per Federico, che si apre al pubblico. ‘Sono io tradotto in musica’, afferma e dichiara come le rocce nel sentiero siano il luogo dove un immaginario Lord Byron compose il poema “The Sea”, scritto noto per la sua contrapposizione tra l’idea di società e di solitudine e per la sua capacità di trovare percorsi alternativi di fronte alle difficoltà. Il poema è stato di ispirazione per il titolo del nuovo disco, che racconta di un anno molto complesso dal punto di vista personale. Eventi da cui è scaturita l’urgenza di brani volti ad esprimere i sentimenti più reconditi, difficili da comprendere anche per se stessi. Nell’album troviamo anche molti richiami alla città di Berlino, in cui vive da svariati anni. Brani quali ‘Mauer Blues’ e ‘Boardwalk’ la descrivono, cercando di illustrare il brulicare di idee che ancora oggi la caratterizzano. La title track, invece, è da considerarsi come la chiusura del cerchio di questa sorta di concept album, che trova in ‘By The Deep Sea’ il momento di massima epifania. Molti dei brani contenuti nel nuovo lavoro sono frutto dell’improvvisazione, a cui sono stati poi aggiunti gli arrangiamenti in studio a Berlino con il contributo al cello di ILLAY e del collaboratore di lunga data Arthur Horning, e, al mix, Francesco Donadello e Simon Goff. “By The Deep Sea” è stato prodotto da Federico Albanese, che, cello a parte, ha suonato tutti gli strumenti contenuti nel disco, dal piano ai sintetizzatori, all’organo Hammond, fino alle chitarre elettriche ed acustiche.
Tuttavia, Albanese tiene a precisare che il suo desiderio è quello di permettere allo spettatore di elaborare pensieri ed emozioni proprie durante l’ascolto, prescindendo da quelli che possono essere stati i suoi moti durante la composizione. Certamente, quest’ultimo lavoro offre parecchi spunti di riflessione sia per il neofita sia per l’orecchio più scafato, in un continuo mischiarsi di nuance e profondità.
Recensione a cura di Emanuela Borgatta Dunnett