Tredici lunghi anni conditi di attesa, rumors, smentite e indizi: tanto tempo ci è voluto ai Tool per tornare sulle scene con “Fear Inoculum”, il nuovo agognato album finalmente uscito il 30 agosto 2019 per RCA. Era difficile a dire il vero ipotizzare per quest’anno un ritorno della band di Maynard James Keenan, che già nell’anno precedente ha stupito il pubblico tornando a pubblicare l’ottimo “Eat the Elephant” con gli A Perfect Circle. Tuttavia, è altresì vero che è proprio l’imprevedibilità una delle maggiori doti dell’eclettico frontman. Non ci è dato sapere molto di questi anni di oscuro lavoro in studio, interrotto con l’annuncio ufficiale dell’uscita del disco solamente il 29 luglio 2019, ma sta bene così: i Tool hanno scelto di tornare come se nulla fosse, con assoluta nonchalance, e già questo ha contribuito a rafforzare le nostre enormi aspettative.
Un ritorno ad effetto dunque, con il quale la band ha addirittura sfidato le attuali convenzioni dell’industria discografica. “Fear Inoculum” infatti, nell’era dell’ormai consolidata riscoperta di supporti fino a qualche anno fa dati per spacciati come il vinile o la musicassetta, viene – per ora – proposto ai fan esclusivamente su CD dal packaging di grande effetto. Un massiccio triplo gatefold magnetizzato racchiude da un lato il disco, dall’altro un curato libretto con testi e credits, mentre al centro troviamo un piccolo schermo. Il display si accende automaticamente all’apertura della confezione, avviando un affascinante filmato con tanto di musica – con la possibilità di mettere in pausa e regolare il volume: prende così vita il meraviglioso artwork come sempre disegnato da Alex Grey, introducendoci da subito nell’oscuro spazio a-temporale dell’album. (N.B. sul lato inferiore del package è presente una presa mini-USB con annesso cavo per ricaricare le batterie)
Dopo le lenti stereoscopiche per leggere il booklet di “10.000 Days”, ecco un’altra grande intuizione grafica e artistica da parte della band. Si può ben dire che “Fear Inoculum” di fatto includa una vera e propria video-performance: una soluzione costosa ma ad oggi già sold out, al punto che la label ha già dovuto mettere in commercio le copie rimaste ancora in magazzino per la gran richiesta. Il disco include anche la card per il download dell’album in versione digitale, un bonus che al contrario suscita la nostra unica perplessità: la versione digitale include tre brani strumentali in più, raggiungendo la durata di 86:38 rispetto ai 79:10 della versione fisica. Trattandosi di due intriganti intermezzi e di quella che è a tutti gli effetti l’outro del disco, fatichiamo a capire le ragioni di questa scelta quando sarebbe stato possibile realizzare un doppio CD.
La presente recensione è ad ogni modo basata sulla tracklist in versione completa, di cui condividiamo le impressioni per ogni singolo pezzo.
Il trip oscuro inizia dunque con la title track “Fear Inoculum”, un brano che, ripensando all’artwork, sembra giocare fra il concetto di inoculazione e di osservazione: “in-oculum” richiama tanto la malattia interiore, quanto la marea di occhi inquietanti dipinta nell’artwork, in cui Alex Grey crea uno spazio nero in cui bizzarre creature scheletriche incedono all’interno di un’oscurità che osserva senza lasciarsi a sua volta scrutare. In 10′ 20″ di durata, il pezzo racchiude in sé l’intro del disco, introducendoci in una dimensione fuori da spazio e tempo. Una sessione ritmica pulsante e cupa acuisce la componente introspettiva del brano, mentre la chitarra e i synth, dopo l’apertura orientaleggiante, nella seconda metà del brano libero si sfondano su un tappeto metal furioso e nel contempo ragionato, tratto distintivo della musica dei Tool. Maynard, in tutto ciò, ipnotizza e acuisce il senso di trance con la sua voce sciamanica, che si conferma il vero strumento in più della band.
“Pneuma”, seconda canzone dell’album, prosegue e dilata ulteriormente la componente spirituale ed introspettiva: i Tool mostrano di aver lavorato in maniera raffinata e meticolosa su ogni singolo suono, levigando ogni asperità sonora anche nei momenti in cui gli strumenti vengono picchiati più duramente. Gli arabeschi sonori definiscono così un brano dalla forte carica simbolica, che parla sul respiro come fonte e simbolo stesso della vita. Fra mistero ed esoterismo, troviamo svariate tracce delle più diverse influenze musicali: dai King Crimson ai Led Zeppelin passando per i Pink Floyd, le raffinate sonorità si consolidano nel puro stile Tool. Tutto questo accade, in maniera forse più emblematica, anche nell’ironia intrinseca dei brani più brevi come la piéce strumentrale “Litanie contre la Peur”, un intermezzo sinistro che – al contrario del titolo – sembra voler suscitare il timore che qualcosa di davvero brutto stia per accadere.
La successiva “Invincible” aumenta ulteriormente il tempo d’esecuzione finora in crescendo nei brani cantati: stavolta, la band opta per l’introduzione di trame di chitarra epiche in quello che è forse il brano più heavy dell’opera. Azzardando a seguire un ideale concept, dopo l’iniezione di paura ed il risveglio, giunge l’ora della battaglia della vita per l’eroe/guerriero/sciamano. Tuttavia, l’invincibilità è una mera illusione e la gloria a maggior ragione, come ben esprimono la voce sofferta di Maynard ed il mood disilluso del brano: ciò che resta sono i segni impressi dalle battaglie della vita, in una canzone che alza i toni diventando il primo anthem rock dell’album.
Cesellato finemente nel corso di questi tredici anni, come una sinuosa roccia nera levigata dai continui flutti del mare, “Fear Inoculum” è un album che oltrepassa i limiti dell’alternative rock/metal, diventando nel suo anelito alla perfezione una sorta di sinfonia progressiva. Il lavoro sulle sfumature svolto su ogni singolo pezzo rende l’insieme di queste dieci canzoni perfetto inscindibile: ognuna di esse presenta infatti la propria peculiarità tematica e stilistica, racchiudendo nel contempo quei leit-motiv di fondo che la intrecciano con le altre nella miglior sequenza possibile. Un’armonia di fondo, quella raggiunta dalla band, che fa quasi dimenticare di stare ascoltando brani cantati dalla durata media di oltre 10’, ammaliando l’ascoltatore grazie sia a questa eleganza compositiva, sia al misterioso fascino delle atmosfere create.
Il breve intermezzo apocalittico “Legion Inoculant” prelude quindi alla vorticosa “Descending”: in quest’occasione la dimensione onirica cede il passo a distorsioni e synth attraverso i quali si esalta la componente progressiva e psichedelica. Subito dopo essere entrati nella seconda metà dell’album, troviamo quella che ci sentiamo di considerare come la canzone più variegata e misteriosa dell’album, che ben esprime il senso di dissoluzione successivo alla caduta nell’abisso, così come la necessità di riemergere e combattere. Perciò, cosa ci attende, dopo questa discesa? Forse la definitiva perdita di senso e sanità mentale narrata in “Culling Voices”, brano fortemente “bipolare”, in cui l’ascoltatore percepisce più che mai la cesura fra le due pulsioni guidanti: difatti, il delicato e malinconico canto su base semiacustica di Keenan nella prima parte del brano, cede improvvisamente il passo ad un’esplosione rock in cui rimane solo il sound devastante delle chitarre e della sessione ritmica.
La bizzarra strumentale kingcrimsoniana (periodo (Thrak”) “Chocolate Chip Trip” ci dona qualche minuto di requie preparandoci al gran finale di “7empest”. I membri della band sciolgono finalmente le briglie dei propri strumenti in occasione della suite più lunga (15′ 44″) del disco. La – shakespeariana – tempesta emotiva e strumentale è finalmente in atto e all’ascoltatore viene voglia di saltare, danzando fra i riff taglienti e le percussioni al fulmicotone di questa esemplare furia hard rock. I sentimenti e le emozioni trattenute nel lungo percorso intrapreso dall’inizio dell’ascolto esplodono senza remore in uno splendido caos strutturato che sfuma via via verso un ordinato silenzio. Spetta quindi all’outro “Mockingbeat” riportarci a galla dalla dimensione oscura, riportandoci vorticosamente alla luce del sole, non appena siamo in grado di udire il canto spensierato del tordo, che sfuma lentamente dai beat conclusivi del disco fino a divenire riconoscibile.
Fra emozioni forti e un senso di sollievo il viaggio si è concluso, ma “Fear Inoculum” è un’iniezione di droga musicale che già ha creato dipendenza e vorremmo riassaporare: è forte il desiderio di provare nuovamente le sensazioni uniche del nuovo universo sonoro creato dai Tool, del quale vogliamo riesplorare ogni sfumatura. Paradossalmente, realizziamo che gli standard raggiunti dai Tool con il loro quinto album hanno raggiunto un livello tale, che la band possa permettersi di non stupire più l’ascoltatore come fatto in passato.
La raffinatezza delle soluzioni sonore e la generale mancanza di ruvide imperfezioni che talvolta costituiscono quel quid in più in un disco rock qui mancano: “Fear Inoculum” è stato un lavoro di ricerca di perfezione e bilanciamento pragonabile a quello di un’opera classica. All’assenza di stupore, Maynard, Andam, Danny e Justin hanno supplito con la capacità di colpire attraverso i dettagli, senza risultare patinati o manieristici. Espressione dell’anima nera dei suoi creatori, che non hanno paura di attraversare il proprio lato oscuro mostrandolo al pubblico, “Fear Inoculum” circuisce e cattura l’ascoltatore attraverso un subdolo e oscuro vortice oscuro di musica ed emozioni, rinunciando allo stupore del primo acchito per poter colpire indelebilmente nel segno ad ogni sfumatura colta.
Affascinante ed equilibrato connubio di passione ed estetica, “Fear Inoculum” è dunque una splendida ragnatela di emozioni visionarie in cui lasciarsi intrappolare, nel nostro viaggio alla ricerca del sublime e del nostro stesso lato oscuro.
Tracklist:
- Fear Inoculum
- Pneuma
- Litanie contre la Peur (versione digitale dell’album)
- Invincible
- Legion Inoculant (versione digitale dell’album)
- Descending
- Culling Voices
- Chocolate Chip Trip
- 7empest
- Mockingbeat (versione digitale dell’album)