Il 9 ottobre è stato pubblicato il nuovo album di Yato dal titolo Post Shock, le cui otto tracce hanno varie sfumature, che poggiano sull’elettronica esplorando funk, dub, synth pop, con qualche divagazione prog rock.
L’album scorre via facilmente e la prima cosa che salta all’orecchio è l’abilità compositiva dell’artista sullo strumentale, spesso però accompagnato da testi non troppo incisivi; non a caso i brani meglio riusciti sono proprio i due strumentali, dove si raggiungono i picchi del disco.
Iniziando l’ascolto si riconosce subito la matrice elettronica. Electro Hardore, i cui suoni ci catapultano in un viaggio onirico, è un brano musicalmente interessante, con un nonsoché dei Depeche Mode. Idolatrina è, a detta dell’artista, una sostanza che assumiamo quotidianamente nel mondo virtuale. L’elettronica qui tende verso il rock e anche la voce è più dura. A questo punto arriva un pezzo accattivante, forse quello che preferisco del disco, Dub-Bi Song, giocato tutto sui bassi, un perfetto strumentale, che mette in luce la bravura compositiva di Yato; col suo bel crescendo è uno dei pezzi indubbiamente più potenti, sul quale appaiono bassi funky e schitarrate improvvise. Le Teorie Possibili ci parla di maschere, di teste messe a posto sulle nuvole, con un sound che ancora una volta ricorda i Depeche Mode, per poi lasciare spazio al groove di Consciock. Ancora uno strumentale, Intro me, ci conferma il suo talento alla produzione, portando l’album verso sfumature cupe, in un viaggio sonoro che ricorda molto i paesaggi del nord Europa, grazie a un bel crescendo di rock elettronico. Ci avviamo verso il finale con Post, dove appaiono suoni di pianoforte su melodie cupe, che si fondono alla perfezione con quelle del precedente, accompagnate da un parlato dai toni drammatici, forse uno dei migliori testi del disco. L’album si chiude con i ritmi techno di Ormonauti RMX, che ci ricordano un po’ l’estetica dei Kraftwerk.
Post Shock è un album vario, dalla natura elettronica sulla quale si diramano varie sperimentazioni e si affacciano molti generi, in un incrocio tra synth pop e synth rock. È un viaggio nella mente e nelle manipolazioni che essa subisce attraverso il virtuale, un continuo confronto tra immagini e realtà. C’è un grande lavoro di produzione, che unito a una maggiore cura dei testi potrebbe permettere a Yato di fare il salto di qualità, aprendogli anche altre strade osando una scrittura in lingua inglese.
Recensione a cura di Egle Taccia