Horus Black è un cantautore genovese che, dopo anni di composizione, ha deciso di pubblicare un album dal titolo “Simply”. La dicitura cantautore genovese non deve però fuorviare l’ascoltatore, perché nell’album c’è tutto tranne che il cantautorato tradizionale, mentre le influenze musicali si rifanno invece al ventennio che va dagli anni ’50 ai ’70, prendendo spunto da artisti quali Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Tom Jones, i Rolling Stones, i Turtles, i Memphis Hornes, i Doors, i Led Zeppelin e i Queen (soprattutto del primo periodo).
L’artista presenta il suo lavoro con queste parole: «Ne consegue che non sia un amante di sintetizzatori o suoni finti in quantità imbarazzanti, anche se nel caso siano usati in maniera giusta possono sicuramente aggiungere molto. Di sicuro sono amante di arrangiamenti carichi e completi di archi ed ottoni. Sempre a causa di queste varie influenze all’interno dell’album, che si può definire pop rock, sono apprezzabili vari stili: rock’n’roll, ballate, funk, rock psichedelico, il tutto toccato a sprazzi da influenze classiche, (come i cori a canone in “We can’t go on this way”), dovute al fatto di essere figlio di due violinisti classici e nipote di un trombettista anch’esso classico. Di matrice classica è pure l’impostazione nel canto, plasmato poi sullo stile delle canzoni».
L’album parte a cannone con la coinvolgente “Simply”, per poi lanciarsi nel groove di “We are alone tonight”, salvo poi incupirsi su “Lonely Melody”, un brano dalle tinte scure ma bellissimo, mentre “Sophie” ci regala “just a little bit of rock’n’roll”. Le atmosfere si fanno sognanti su “Miss Candy” e si va verso il finale con una malinconica “In My Bed”. Tutto si chiude con la stellare “We Can’t Go On This Way”.
Ascoltando “Simply” ci si trova di fronte ad un disco dal ritmo trascinante, con suoni vintage molto coinvolgenti e arrangiamenti perfetti. Se ci si imbattesse per caso in “Simply” si farebbe certamente fatica a catalogarlo come un disco pubblicato in Italia nel 2018. La ricetta è piuttosto originale, perché Horus Black prende il rock’n’roll anni ’50 e lo condisce con un po’ di suoni psych anni ’70, mescolando il tutto con un funk molto trascinante, per creare un vintage pop che conquista già dal primo ascolto. Ne viene fuori un disco molto bello, orecchiabile quanto basta, che, pezzo dopo pezzo, porta l’ascoltatore in un mondo sognante e malinconico, nel quale può ballare senza per forza dover ascoltare basi e autotune, ma dove può anche lasciarsi andare a qualche sospiro romantico. È un album al cui interno si trova tutto tranne che le mode, eppure colpisce proprio per essere assolutamente controcorrente. Horus Black ha saputo dare ai brani la sua impronta, evitando di rappresentare la caricatura di un periodo o di pubblicare un album nostalgia. Una scoperta in cui è stato bello imbattersi!
Recensione a cura di Egle Taccia