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No Review

No Review – “Singularity”: le meditazioni cosmiche di Jon Hopkins

Sembra una parola semplice “Singularity”, che potremmo ridurci a considerare nel semplice quanto nel contempo complesso significato di “peculiarità” od “unicità”; tuttavia, i ripetuti ascolti dell’omonimo album, che ha riportato sulle scene dopo ben cinque anni il genio di Jon Hopkins, destano non pochi sospetti sul fatto che,  dietro ad un’opera così raffinata e complessa nella sua linearità, il titolo dell’album e della relativa traccia d’apertura vogliano significare qualcosa di più.

Alla luce di questo, facendo una rapida ricerca sul web, possiamo in pochi secondi scoprire che il significato della parola “singolarità” sia anche quello di:

  1. un punto, nel quale una funzione acquisisce un valore infinito, specialmente nello spazio-tempo quando la materia diviene infinitamente densa, come ad esempio al centro di un buco nero;
  2. un ipotetico momento nel tempo, quando l’intelligenza artificiale ed altre tecnologie siano divenute avanzate al punto che l’umanità sia sottoposta ad un drastico ed irreversibile cambiamento;

Oppure, se quella parola ci sembra di averla già sentita da qualche parte, riscoprire in effetti che questo concetto è già stato trasposto in musica all’interno di un album completamente folle quale fu “Filosofem” di Burzum, registrato da Kristian “Varg” Vikernes poco prima dell’incarcerazione, all’interno del brano ambient “Rundtgåing av den transcendentale egenhetens støtte” (“Circumambulation of the Transcendental Columns of Singularity”), una cupa meditazione cosmica sulla solitudine della durata di oltre 25′.

Tornano a Jon Hopkins ed al suo ultimo lavoro, la domanda più ovvia è: cosa aspettarci da questo viaggio nella singolarità al quale l’artista ci invita? La chiave di lettura offerta dallo stesso producer britannico ci parla di pellegrinaggio assolutamente personale, fatto di viaggi nel deserto e della scoperta di esoteriche tecniche di respirazione, rivoluzioni tecniche come il cambio del software utilizzato per produrre la propria arte, ed un distacco dai vecchi ambienti ed abitudini per andare alla ricerca di una nuova dimensione umana ed artistica. Un viaggio individuale e solitario, all’interno del cosmo e di sonorità diverse.

Una singolarità fatta di molte sfaccettature, che va dall’unicità dell’individuo/artista Jon Hopkins e di ogni suo singolo ascoltatore, che si ritrova a confrontarsi con quest’opera partendo dalle proprie percezioni e da un percorso totalmente personale, per trovarsi ad affrontare la complessa unicità dell’intero uni-verso – di quello di cui facciamo parte, almeno.  Jon è figlio di un astrofisico, per cui chi meglio di lui può ambire a condurci verso una simile esplorazione?

Benvenuti dunque in questo nuovo viaggio cosmico, in un anno dove già abbiamo avuto modo di ascoltare opere pervase da misticismo e domande universali, perché quest’ultima opera di Jon Hopkins rappresenta a tutti gli effetti per la musica elettronica del 2018 quello che il magniloquente “Heaven and Earth” ha significato per il mondo del jazz: un profondo lavoro di ricerca personale su domande universali quali il rapporto fra spiritualità e materia, fra l’io e l’altro, un viaggio apparentemente di sola andata verso lo spazio profondo, alla fine del quale ci ritroviamo non si sa come al punto di partenza, perché quest’individualità universale è in conclusione una concentrazione assoluta del tutto; “Everything Connected”, “Tutto (è) connesso”, come bene ci racconta una delle composizioni più dinamiche e danzabili di questo lavoro, che non casualmente raccoglie in sé sprazzi sonori di tutti i rimanenti otto brani del disco.

Hopkins mescola sapientemente sonorità puramente ambient a momenti techno, ben esprimendo questa interconnessione fra ogni individuo, fra ogni particella, ed il risultato è che ad ogni singola onda sonora proveniente dallo stereo corrisponda una sensazione tangibile, quasi visiva: siamo di fronte ad un’esperienza totale, sinestetica, che l’ascoltatore può fare sua tanto abbandonandosi al ritmo – che non manca mai, neppure nei momenti più estatici – e alla danza, quanto abbandonandosi al godimento tranquillo dell’emozione, in un puro trip contemplativo indotto dalle avanguardistiche strumentazioni di Jon.

Ogni brano dell’album reca, a partire dal titolo, reminiscenze ora fisico-scientifiche (“C O S M”), ora esistenziali (“Feel first Life”), ora addirittura fantascientifiche (“Luminous Beings”), e lo stile compositivo risulta talmente affinato da rendere impossibile ogni classificazione: certo, possiamo dire che all’interno di “Singularity” siano assolutamente presenti ispirazioni provenienti tanto dal mondo techno/house, quando dall’ambient dell’amico/maestro Brian Eno, quanto ancora possiamo sforzarci di trovare echi del krautrock più mistico e della psichedelia più allucinata. Tuttavia, la ricercatezza e il lavoro sopraffino svolto su ogni singola nota di “Singularity”, fanno sì che quest’album sia solamente definibile come “un’autentica opera nello stile di Jon Hopkins”, la più matura ad oggi.

Vi invitiamo dunque a questo “singolare viaggio” sonoro: sarà in realtà un’esperienza totale, di cui difficilmente vi potrete pentire.

 

Tracklist

  1. Singularity
  2. Emerald Rush (videoclip)
  3. Neon Pattern Drum
  4. Everything Connected (videoclip)
  5. Feel First Life
  6. C O S M
  7. Echo Dissolve
  8. Luminous Beings
  9. Recovery
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