L’hanno rifatto, dunque. Il 2019, con le sue tante uscite interessanti, ci ha portato anche il ritorno dei tre “fratelli” più strambi della musica made in Italy, ovvero Linnon, Rob ed Enro Winston, dietro i cui nomi di battaglia si celano tre nomi cult della scena indie nazionale ovvero Lino Gitto (UFO), Roberto Dell’Era (Afterhours) ed Enrico Gabrielli (Calibro 35).
Un’uscita attesa, a tre anni dal debutto omonimo della band, che non delude le aspettative ed anzi, ci ha profondamente colpiti per il respiro ancor più internazionale della dozzina di brani prodotta dal trio, con la preziosa collaborazione di ospiti illustri del panorama nostrano e non: ci sono le corde di Rodrigo d’Erasmo in “Around The Boat”, il trombone di Federico Pierantoni in “Tamarind Smile / Apple Pie” e, dulcis in fundo, le voci di Mick Harvey, Richard Sinclair (Caravan) e Nic Cester a confermare il fatto che “Smith” sia un’opera poliedrica e ricca di motivi d’interesse.
“Smith” dunque, un titolo che ricorda Winston Smith, il nome del protagonista di “1984” di George Orwell, ma anche un gioco di parole interessante col nome della band, perché “The Winstons – Smith” suona come “The Winston’s Myth” come hanno spiegato loro stessi. Riferimenti importanti ed auto celebrazioni meritate, dobbiamo dire, perché “Smith” fin dal primo ascolto ci ha incuriositi e conquistati.
Prodotto e registrato fra vari studios italiani e i “Tilehouse studios” di Buckinghamshire (UK), dove sono state registrate in presa diretta la maggior parte delle tracce, “Smith” è un caso assai curioso nella discografia contemporanea, poiché quello che ci troviamo ad ascoltare è un album dal sound pulito, raffinato e squisitamente psichedelico che nel suo essere assolutamente moderno ci riporta paradossalmente indietro nel tempo, o meglio, prolunga fino ad oggi le meravigliose sonorità fra psichedelia, progressive e space rock prodotte fra il 1967 e il 1970.
Impreziosito dal meraviglioso dipinto di copertina realizzato dall’amico e musicista giapponese Kawamura Gun, “Smith” è un lavoro poliedrico in cui i musicisti sembrano lasciarsi possedere dagli spiriti delle più importanti e particolari band del periodo: i Beatles del periodo “Sgt. Pepper’s” attraversano l’Oceano per incontrare la particolare psichedelia jazzata degli Spirit di Randy California – una delle band più incomprese di sempre – per ritornare in Europa a scoprire i Pink Floyd del periodo appena post-barrettiano di “A Saucerful Of Secrets”, la scena di Canterbury di Caravan e Soft Machine, con una spruzzata del più fantascientifico space rock dell’epoca (gli Hawkwind e ancora i Floyd di “Interstellar Overdrive”).
Tanti omaggi, riferimenti importanti e idee che tuttavia non si concretizzano in un album divertissement, ma in una seconda opera matura e completa, capace di appassionare dall’inizio alla fine tanto il purista dei generi elencati sopra, quanto l’ascoltatore desideroso di lasciarsi sorprendere da un’opera a metà strada fra fantascienza e surrealismo, definita da un sound vivido e affascinante.
Un ritorno importante e un po’ a sorpresa, che conferma The Winstons come una delle band più originali e squisitamente anomale del giorno d’oggi. Just do it again, bros!
Tracklist:
- Mokumokurwen
- Ghost Town
- Around The Boat
- Tamarind Smile / Apple Pie
- A Man Happier Than You (ft. Mick Harvey)
- No Dosh For Parking Lot
- The Blue Traffic Light
- Blind (ft. Richard “Caravan” Sinclair)
- Impotence
- Soon Everyday
- Sintagma
- Rocket Belt (ft. Nic Cester)