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Vipra porterà le sue sonorità presto sul palco ed è stato annunciato tra i protagonisti del MiAmi Festival il 26 maggio.
Intervista a cura di Egle Taccia
“Musica dal morto” è il tuo nuovo concept album che ruota intorno alla memoria post-mortem. Cosa l’ha ispirato?
In realtà la memoria post-mortem è un po’ un effetto collaterale del concept, nel senso che a me interessava sottolineare una generale mancanza di vitalità che vedo nella musica italiana. A parte qualche caso specifico più limitato, generalmente la musica italiana, soprattutto in questo momento in cui il mercato paradossalmente cresce, fa soldi e fa pubblico, tende a uniformarsi ad uno standard che è quello del monetizzabile. Questo ha senso se l’unico obiettivo di una persona è quello di fare soldi con la musica, condivisibilissimo, non da me ma immagino che qualcuno lo possa condividere, però purtroppo l’effetto collaterale, il by-product, è che la musica si appiattisca, del resto lo si vede anche dalle proposte di playlist delle piattaforme, che fanno delle playlist trap, delle playlist pop e fuori non esiste niente. Prima per un periodo è esistito l’indie, qualunque cosa volesse dire, che poi significava canzoni tristi fatte con la chitarra, adesso siamo a un ulteriore livello in cui ci sono canzoni d’amore o canzoni tristi, tutta roba abbastanza autoreferenziale, fatte su due generi e fatte più o meno tutte a copia carbone, questo lo dico anche come autore. Mi capita anche di scrivere per gli altri, quindi so cosa cercano gli artisti, cosa cerca il mercato e cosa cerca il pubblico. Per venire incontro alle esigenze di questo benedetto pubblico e per educarlo a una proposta che fosse formulaica e comprensibile è stata fatta questa scelta. La “Musica dal morto” è una musica paradossalmente più viva della musica dal vivo che si fa adesso.
Come e perché hai scelto le differenti personalità artistiche che hai voluto omaggiare in questo album? Cosa le lega?
In realtà sono state scelte per associazione con il sound. A volte, in alcuni casi tipo “Yauch”, che poi sarebbe MCA dei Beastie Boys, o Dimebag Darrell dei Pantera o anche Mark Sandman, in qualche maniera il sound si avvicina alle atmosfere che abbiamo creato con i synth su “Dai DRK”, e altre volte, come nel caso di Tenco in “Mr. Popstar” o nel caso di Mia Martini in “Musica dal Morto” sono stati associati per vicinanza alle tematiche di cui andavo a parlare. Per esempio, in “Guardami! – Mango” ho descritto un artista che è esattamente il contrario di Mango, questa figura grottesca di un artista che vuole stare sempre in mezzo, che va alle feste per poter incontrare la gente più famosa di lui e fare carriera, quando invece Mango è stato un artista sempre defilato, che ha persino finito la sua carriera in una maniera estremamente mistica, estremamente particolare, estremamente spirituale. Di conseguenza le scelte sono state guidate da quello che era il particolare momento di lavorazione in studio e le associazioni sono fatte nelle più varie maniere, da vicinanza musicale a vicinanza concettualmente artistica, per un viaggio che magari mi sono fatto io.
Ho letto che hai avuto un approccio quasi artigianale per questo album. Cosa ti ha spinto verso questa direzione?
In realtà volevo fare una cosa che fosse un po’ diversa dall’album precedente, che aveva un sacco di producer, un sacco di featuring e tantissimo lavoro fatto da comparti di persone differenti con le quali non è sempre stato facile dialogare e che poi alla fine hanno determinato un disco, che per carità mi piace e mi rispecchia, però nel quale non mi vedo totalmente o forse non mi ci vedo adesso. Per questo motivo, ho preferito ridurre il numero di persone che hanno lavorato al disco e prendere delle persone che fossero più vicino possibile a me, nel senso che i musicisti che l’hanno composto sono dei musicisti molto talentuosi, gli Inude, Francesco Bove, Giacomo Greco e Flavio Paglialunga, che però sono anche i miei vicini di casa, quindi l’abbiamo scritto in casa di uno di loro. Ho lavorato a tanti dischi, non solo miei, e i dischi generalmente si fanno in studio, mentre nel mio caso i videomaker, la direzione artistica, li hanno fatti amici e amiche con cui ho voluto condividere il budget che mi era stato messo a disposizione, quindi, invece di trovare dei nomi che potessero rendere il prodotto più blasonato, ho voluto spingere di più sulla dimensione del creare una collettività, un gruppo che lavorasse bene insieme, perché prima di tutto c’era una comunanza di intenti e una vicinanza affettiva, cose che al mercato piacciono zero. Sentivo l’esigenza di farlo, poi magari mi bastoneranno, ma pazienza.
C’è un brano a cui sei particolarmente legato?
In realtà sono legato abbastanza a tutti, è un disco estemporaneo. A me piace molto “Quiet Kid” perché avevo spinto per farlo essere l’intro del disco, poi un singolo, ma non hanno voluto, non ha voluto neanche la band, che comunque ha fatto un prodotto che non è stato accolto immediatamente benissimo dalle persone che dovevano lavorare al disco. Una discografica, un’etichetta, una distribuzione che si trovano a lavorare una roba post punk, hard rock, nel 2023, che parla di tematiche sociali, ti dicono “mettici due pezzi d’amore, fratello”, io poi non l’ho fatto, quindi sono anche recidivo in questo senso, un paio ci stanno pure, ma il punto è che ci sono affezionato perché veramente è quanto di più lontano possibile a una traccia che adesso può funzionare, però nonostante questo l’ho messa nel disco, nonostante fosse too much pure per la stessa band, e ci sono affezionato proprio per questa ragione.
In che stato è la musica dopo la pandemia?
La musica italiana è in uno stato pessimo, purtroppo, in realtà secondo i giornali e gli addetti ai lavori sta benissimo, perché si fanno un sacco di soldi, il problema è che questi soldi li fa uno 0.5% degli artisti, gli altri sono in condizioni di insostenibilità economica, non possono fare musica come unico lavoro, devono fare 4-5 lavori diversi, ma anche chi lavora nella musica, parlo di tecnici, direttori artistici, videomaker, di strumentisti, di musicisti, di ingegneri, non sono più in una situazione di sostenibilità. La visibilità, e di conseguenza la ricchezza, si è concentrata nelle mani di pochissimi, questo è successo anche perché dopo due anni di pandemia hanno chiuso tanti live club, tanti festival, di conseguenza esistono quasi soltanto gli artisti che fanno i palazzetti, esistono i grandi eventi, esistono i festival, esistono i talent, ma non esiste quella dimensione sociale che fino a tre anni fa comunque era presente in Italia, i piccoli festival, le serate settimanali, quella dimensione aggregativa che poi si spostava e si trasponeva anche su internet, un minimo anche nei numeri, però era il terreno da cui potevano nascere delle cose. Adesso l’unico terreno ce l’hanno in mano le corporate, le aziende che si occupano di musica. La musica italiana, quindi, dopo la pandemia sta messa malissimo dal punto di vista delle persone che fanno musica, però il problema è che musicisti in Italia sono pochi, non gliene frega niente a nessuno, perché stanno messi molto peggio tanti altri comparti produttivi in Italia, siamo in un Paese dove i salari non si alzano dal 1990, un po’ greve come situazione, si pensa solo a fare soldi. Il problema è che se i soldi li fa Blanco, con tutto il bene per lui, sono contento, però altre 400 persone devono scegliere se fare musica o mangiare. Puoi dire che fare musica non è obbligatorio, assolutamente no, però chissà quanta gente ci perdiamo perché tutta l’attenzione è completamente concentrata nelle mani di pochi. Magari c’è della gente per cui fare musica è ottimo e potrebbe arricchire tantissimo e questo è un peccato, però parliamo del Paese che legge di meno in Europa, quindi non credo che a qualcuno importi dell’impatto culturale conseguente all’impoverimento del panorama musicale. È così, ci dobbiamo stare.
Pensi che la musica e l’arte in generale abbiano perso la loro funzione indirizzandosi verso l’omologazione?
Non so se l’hanno mai avuta veramente, non so se quella musica e quell’arte che avevano come intenzione quella di intercettare, di educare e di organizzare la collettività intorno a degli obbiettivi, ci siano riuscite davvero, perché non è che chi fa musica può pretendere di prendere la gente e dire adesso fate questa cosa perché ve lo dico io, la musica dovrebbe servire ad alimentare il dibattito, a puntare l’attenzione su qualcosa, a suscitarlo, così come il cinema, a meno che uno non fa il cinema di propaganda nazista allora lì stiamo a parlare di un’altra cosa, però la musica serve come pungolo, come stimolo per questo genere di cose. Secondo me c’è stato un momento in cui questa direzione, questa capacità, l’arte l’ha avuta, perché c’era anche una risposta, c’era un’attenzione differente, adesso, essendo l’unico parametro su cui si misura la necessità e l’utilità di un’opera, il quanto quell’opera frutti in termini monetari, no. Oggi a chi va di fare “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi? Ognuno vuole fare il film degli Avangers, ma ci sta. Però in questa maniera educo un pubblico a vedere soltanto gli Avengers, che vanno bene, vanno benissimo, però nel mondo non ci stanno soltanto i buoni e i cattivi ed i cattivi vengono sconfitti, anche perché l’industria militare americana usa i film degli Avengers per fare propaganda. C’è un documentario molto figo, tra l’altro te lo consiglio, è su Youtube, su cosa siano diventati i film della Marvel da quando il comparto militare americano ci investe su, per cui sai l’hanno un po’ avuta negli scorsi anni, negli anni ’70 o negli anni ’80, penso a cose come “Fritz il gatto” di Robert Crumb o penso a cose come gli Skiantos, e poi l’hanno persa perché è più facile che le persone decidano di collaborare per denaro che per un’astratta idea di progresso, dobbiamo accettarlo. Parafrasando Mark Fisher, che sosteneva come fosse più facile immaginare la fine dell’umanità che la fine del capitalismo, probabilmente è più facile immaginare la fine della musica che la fine degli streaming.
Qual è il periodo storico in cui, secondo te, la musica ha davvero svolto la sua vera funzione e chi è il miglior esempio di artista a cui tu fai riferimento?
Il miglior periodo in cui la musica ha svolto la sua funzione, potrebbe forse essere quello degli anni ’60 e degli anni ’70, ma poi siamo anche abituati a pensare al passato come ad un periodo in cui si stava meglio, magari si facevano esattamente gli stessi ragionamenti che si fanno adesso. La storia dell’umanità è un po’ ciclica, magari può essere che durante la Seconda Guerra Mondiale la musica abbia svolto una funzione culturale importante, sicuramente soffiava sul fuoco di tante altre cose, nel bene o nel male la avrà svolta anche in quel momento. Avrà svolto anche nell’antichità un ruolo importante, quando c’era l’impero Ellenistico oppure quando c’era l’Impero Romano, avrà svolto un grande ruolo nel 18° secolo quando c’era Mozart a Vienna, però forse adesso il problema non è che svolga un piccolo ruolo, perché il ruolo economico che svolge la musica è grande, fa un indotto grande, è per questo che ti dico che la musica sta bene, ma svolge un ruolo limitato che è quello di intrattenere e fare soldi e probabilmente prima aveva anche un’idea un pochino più complessa, un pochino più ampia dietro. Se io dovessi nominare un artista del passato non ti saprei dire, perché sono un po’ contrario alla mitizzazione, tutte le persone che ho infilato nel disco non è che sono dei miti, delle divinità, sono delle persone che per me hanno rappresentato qualcosa o con la loro esistenza o con la musica che hanno fatto o con la fine che hanno fatto, sono stati testimoni di qualcosa. Non ti saprei dire, non ho un mio mito per cui dico Jimi Hendrix o Mac Miller. Non ne ho idea, gli esseri umani sono esseri umani tutti, non saprei.
Pensi che l’artista debba essere un modello per la società?
No, io penso che l’artista debba essere una componente della società. Adesso gli artisti sono un estremo modello della società, sono il modello del successo e di fare un sacco di soldi, di avere un sacco di attenzione e basta, la popstar si riduce a questo, ma non è una cosa di adesso, è una cosa che probabilmente è iniziata anche negli anni ’80. Se penso all’Hair Metal, i Mötley Crüe erano fighi perché spaccavano le camere dell’albergo e infatti gli anni ’80 sono stati un decennio tragico anche se adesso ce li vogliono rappresentare come un’epoca d’oro. Zero. Non lo so, io non credo che la società abbia bisogno di modelli, probabilmente gli esseri umani dovrebbero trovare nel benessere della collettività il modello, non in una persona. Trovare il modello in qualcuno è sempre una cosa pericolosa e ha sempre portato a delle deformazioni, io non parlo di dittatura, ma la feticizzazione di una figura ti porta a togliere profondità a quella figura, perché nel momento in cui quella figura diventa un mito, un’icona, le icone per loro natura sono bidimensionali, ti perdi qualcosa. Probabilmente gli esseri umani potrebbero cercare, non lo dico perché sono un genio o sono Gandhi, semplicemente è una cosa che non facciamo e quindi potrebbe essere una strada interessante da seguire visto che abbiamo fatto tutt’altro, invece che guardare a qualcuno potrebbero guardare a se stessi e alle persone che gli somigliano di più, i loro simili, e riconoscere se stessi nei loro simili, piuttosto che riconoscere se stessi, con tutto il bene, in quello che canta Dua Lipa, non le scrive nemmeno lei le canzoni, uno non può dire “mi riconosco perché quel cantante parla di tristezza e sono stato triste pure io perché la mia ragazza o il mio ragazzo mi ha lasciato”. Probabilmente hai molto più da condividere con il tuo ragazzo o con la tua ragazza, o con il tuo ex, che con quell’artista.
Domanda Nonsense: Batman o Robin?
Robin assolutamente, tutta la vita. Io sono stato un grande appassionato di Batman, ne ho letti veramente un sacco. Robin ce ne sono stati credo più di quattro o cinque nella storia editoriale del personaggio e ovviamente sono molto più variegati, Batman è sempre Bruce Wayne, mentre ci sono stati anche dei Robin donna, è un personaggio fluido e con un sacco di personalità, quindi tutta la vita Robin.