L’ultima volta che avevamo avuto occasione di ascoltare qualcosa di nuovo dei Punch Brothers è stato nel 2018, quando con All Ashore confermarono le loro fenomenali capacità compositive e la loro maturità dopo l’uscita di The Phosphorescent Blues. L’album fu un tale successo che in pochi giorni la band ottenne il sold out per un tour di oltre venti date negli States.
Con l’arrivo della pandemia, l’impossibilità del frontman Chris Thile di proseguire il suo programma radiofonico pubblico Live From Here ha fatto sì che la band si concentrasse interamente su un nuovo album. Quando finalmente i Punch Brothers si sono riuniti dopo la separazione forzata per il lockdown, hanno deciso di fare un album di cover. Più precisamente, Hell on Church Street è la cover di un album di cover.
L’album è una rivisitazione del capolavoro solista di Tony Rice, Church Street Blues, del 1983. Il musicista e cantante di Denville è venuto a mancare sul finire del 2020, ispirando Thile e il resto della band per un album da dedicare interamente all’autore scomparso.
L’originale è degno di nota nonostante possa sembrare scarno, poiché la chitarra di Rice è uno dei pochissimi strumenti presenti. Il fratello di Rice, Wyatt, ha suonato la chitarra ritmica in una manciata di brani, ma si tratta degli unici strumenti dell’intero album: un misto di bluegrass e cover folk.
Quel calore è qualcosa che è abbastanza facile da ricreare per i Punch Brothers, grazie soprattutto allo stile vocale liscio e pulito del cantante e mandolinista Chris Thile. Hell on Church Street segue essenzialmente la stessa tracklist di Church Street Blues: l‘unico cambiamento significativo è che i Punch Brothers uniscono House Carpenter e Jerusalem Ridge in un’unica epica canzone di sette minuti. Nel complesso, tuttavia, Hell on Church Street potrebbe essere considerato un interessante diversivo nel loro catalogo, ma se messo insieme a precedenti sforzi come Who’s Feeling Young Now? o The Phosphorescent Blues, non è probabilmente allo stesso livello.
L’album parte con Church Street Blues e la difficoltà è sicuramente fra le più elevate. Nell’album di Rice è una canzone popolare piacevole e ottimista, qui si tratta di un riarrangiamento radicale. I Punch Brothers ne modellano il tempo e, con il mandolino, il banjo e la chitarra suonano schemi ritmici veloci.
Segue una strumentale Cattle in the Cane, dove Thile inizialmente suona la melodia dal suo mandolino, con l’accompagnamento del chitarrista Chris Eldridge. In sottofondo, un lavoro particolare è svolto da Witcher, il quale suona sul violino toni estesi che spesso non si allineano con la tonalità della canzone. L’altro pezzo strumentale del disco è Gold Rush di Bill Monroe. La canzone si sviluppa lentamente ed è sensibilmente differente da quella originale, facendola risultare come un intramezzo anziché come un pezzo vero e proprio.
One More Night di Bob Dylan riceve un trattamento bluegrass ottimista, con un’armonia velocizzata e molto più movimentata, che perde anche il trattamento dylaniano. La canzone di Jimmie Rodgers Any Old Time è presentata con un’orchestra d’archi folk, mentre Orphan Annie è piena del puro sound bluegrass, che fa molto affidamento sulle note del contrabbasso di Kowert e su una linea di banjo relativamente semplice. Dall’altra parte Pride of Man si apre con un assolo di chitarra piuttosto cupo, mantenendo una tensione lungo tutta la durata del brano.
Con i Nickel Creek, un’altra band di Thile, potevamo già assaporare una cover di House Carpenter. Nel tentativo di non riproporla in modo simile, la soluzione è stata appoggiarsi al loro lato “progressive” e inserire nel mix la strumentale Jerusalem Ridge di Bill Monroe. La loro versione, di conseguenza, inizia piano e aumenta gradualmente la complessità e il tempo.
Hell on Church Street si chiude con la sua canzone più famosa, The Wreck of the Edmund Fitzgerald di Gordon Lightfoot. I Punch Brothers la suonano molto più velocemente di Lightfoot e ancora una volta usano l’intera band per enfatizzare la tensione della canzone.
Con questa nuova opera, dopo quattro anni i Punch Brothers tornano a suonare al loro modo: spazio alla tecnica e all’armonia data dall’unione degli strumenti, in uno stile maggiormente bluegrass. Hell on Church Street è quasi un tentativo di togliersi il velo del “progressive bluegrass” con cui la stampa li ha spesso etichettati, abbracciando piuttosto uno stile tradizionale e con la solita pennellata capace di renderli incredibilmente riconoscibili.