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My Dying Bride, un ritorno alla ricerca dell’identità perduta [Recensione]

Fa piacere assistere al ritorno sulle scene dei My Dying Bride: cinque anni sono passati dall’ultimo lavoro “Feel the Misery”, album al quale sono seguiti una serie di problemi familiari e personali che hanno portato a qualche cambio di line-up ed al passaggio alla tedesca Nuclear Blast dopo una vita passata alla Peaceville Records. Pur apprezzando maggiormente il periodo anni ’90 dei MDB, anni in cui la band albionica ha dato vita ad una serie di capolavori che hanno profondamente segnato la formazione musicale di chi vi sta scrivendo, “The Ghost of Orion” è un lavoro che colpisce positivamente, in quanto figlio di un’ottima ispirazione e di una cura del dettaglio notevole fin dal bel ritratto dell’artwork.

La nuova line-up, guidata dai membri storici Aaron Stainthorpe alla voce ed Andrew Craighan alla chitarra, oltre agli ormai membri in pianta stabile Lena Abé (basso) e Shaun McGowan (synth e violino), include due ottimi nuovi acquisti come Jeff Singer alla batteria e Neil Blanchett alle chitarre. Il rinnovato team mostra da subito un ottimo affiatamento, facendo di “The Ghost of Orion” uno dei migliori album dei MDB degli anni 2000.

La voce di Aaron, cavernosa e decadente, emoziona e sfodera sempre al momento giusto la propria potenza, lavorando in una perfetta ed oscura sintonia con le atmosfere gotiche che da sempre costituiscono il marchio di fabbrica dei My Dying Bride. I granitici riff di Chaighan graffiano nel buio con la consueta e mirabile potenza, anch’essa tratto distintivo ormai noto per la band, mentre il resto del gruppo intesse melodie crepuscolari suggestive ed ispirate come personalmente non sentivo da tempo.

La struttura dell’album si inscrive nei canoni del genere, con una lunga cavalcata malinconica in puro gothic/doom ad aprire questo viaggio oscuro (l’intensa “Your Broken Shore”) alla quale fa da ideale contraltare (per struttura ed allitterazione) una più breve outro strumentale in chiave sinfonica intitolata “Your Woven Shore”. All’usuale romanticismo decadente impreziosito da tastiere e violino, i nuovi MDB sembrano aver aggiunto un pizzico di potenza in più che ci fa pensare agli svedesi Opeth, anch’essi entrati ormai in pianta stabile nel nutrito roster della Nuclear Blast.

Negli otto brani dell’album, troviamo almeno altri due nuovi classici per la band come la titanica “To Outlive the Gods”, magistralmente cantata da Aaron, e la sontuosa “The Old Earth”, in cui la componente metal si fa ancora più potente e martellante, dando al brano un tono magnificamente epico. Molto interessante l’intermezzo “The Solace”, brano di quasi sei minuti cantato dalla soave voce femminile di  Lindy-Fay Hella dei norvegesi Wardruna.

Una bella sorpresa questo ritorno dei My Dying Bride, dimostratisi in grado di rimettersi in gioco: pur non possedendo più il romanticismo decadente e disperato dei vecchi lavori, la band inglese ha dimostrato di poter essere ancora annoverata fra i capiscuola del gothic metal, rinnovandosi e restando al passo con i tempi.

 

 

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