Lo scorso 29 Settembre, dopo una lunga attesa e dopo la presentazione avvenuta a maggio al Festival di Cannes, è uscito nelle sale cinematografiche italiane il nuovo film del regista newyorkese Woody Allen: Café Society.
La 47′ pellicola di Allen presenta subito un cambiamento epocale: è la prima opera del regista ad essere girata in digitale.
La trama si sviluppa nell’America degli anni ’30 intorno al personaggio di Bobby (Jesse Eisenberg) che stanco della vita a New York decide di chiedere aiuto allo zio Phil Stern (Steve Carrel), importante produttore cinematografico hollywoodiano, per sfondare nell’alta società. Le avventure del giovane Bobby sono da subito ai limiti del parodico, non riuscendo ad ottenere un incontro con lo zio prima di un mese successivo al suo arrivo a Los Angeles e innamorandosi, con non poche difficoltà conseguenti, della giovane assistente Vonnie (Kirsten Stewart). La vita luminosa di Hollywood tuttavia porterà presto Bobby a ritornare al nido familiare newyorkese dove finalmente riuscirà ad imporsi nella “café society”. I drammi tuttavia non sono ancora terminati.
La nuova opera del regista newyorkese perde molto della poetica tipica dell’autore. Nonostante le parodiate origini ebraiche del protagonista, sempre presenti nei film di Allen, un recupero delle epoche passate decisamente in auge nel panorama cinematografico odierno e un cast stellare composto da J. Eisenberg, S. Carrel, K. Stewart e la bellissima Blake Lively, il film non riesce a catturare un pubblico abituato a commedie sagaci e brillanti come alcune tra le opere di Allen quali Basta che funzioni, Hollywood ending, Prendi i soldi e scappa, Provaci ancora Sam, ecc.
La voce narrante che accompagna per tutto il film la narrazione è un espediente interessante per fare sì che lo spettatore si immerga nella psiche e nelle idiosincrasie del protagonista. Al tempo stesso Jesse Eisenberg riesce in una brillante performance recitativa nonostante le interpretazioni attoriali di Allen rimangano insuperabili e ben impresse nella memoria di fan e spettatori. Il film è comunque un’opera piacevole che naviga in una società cinica e molto spesso idealizzata come quella della Hollywood e della New York degli anni ’30, riuscendo a far sorridere il pubblico in sala forse più per nostalgia che per brillantezza e in qualche modo tutto questo sarebbe sufficiente se non ci trovassimo di fronte ad una produzione di uno dei più grandi commediografi degli ultimi sessant’anni.
La sensazione che il film lascia è quella della classica occasione sprecata. La storia c’è, le trovate narrative anche, l’introspezione dei personaggi viene spesso messa in primo piano in linea con la poetica autoriale; tuttavia non è presente un elemento accalappiante che trasporti lo spettatore nella brillante e poliedrica mente del regista. Complice di questa difficoltà è anche, forse, una recitazione sottotono della co-protagonista Kristen Stewart che non riesce a reggere il confronto con Eisenberg e non si eleva mai ai livelli di interpreti come Diane Keaton, Mia Farrow, Scarlett Johansson o Emma Stone più volte impiegate all’interno delle pellicole alleniane.
Il regista ha dichiarato più volte che non smetterà di girare film fin quando il proprio fisico non cederà completamente alla vecchiaia e la speranza è di trovarlo nuovamente a cavalcare successi come gli ultimi Midnight in Paris e Blue Jasmine, cancellando così pellicole decisamente mediocri come To Rome with Love o Magic in the Moonlight.
Voto: 5,5