Ad ottobre è uscito Farfalle e Falene, il primo album solista della cantautrice forlivese Sara Piolanti. Dopo l’esperienza come cantante dei Caravane de Ville e New Cherry, Sara debutta con un album, completamente autoprodotto, che rappresenta tutte le varie declinazioni del rock.
Le ho fatto qualche domanda.
Primo album solista, autrice e polistrumentista, che esperienza è stata?
E’ stato stimolante e molto divertente, un modo per trasmettere quante più cose di me, per mettermi alla prova e cimentarmi in qualcosa di nuovo usando una modalità diversa da quanto fatto finora.
Perché il titolo “Farfalle e Falene”?
Farfalle e falene è un tentativo di rappresentazione del dualismo che credo sia alla base di tutto, principi strettamente connessi ma con aspetti a volte del tutto opposti, per non dire antagonisti e la conseguente, necessaria, ricerca di un equilibrio. C’è una farfalla e una falena in ognuno di noi. Siamo farfalle quando ci liberiamo dai condizionamenti, dai preconcetti, quando siamo disposti a rischiare un volo tra i predatori, quando amiamo e ci divertiamo. Siamo falene quando ci abbandoniamo all’ignoranza e alla mediocrità, alle chiacchiere sterili, ai preconcetti e alla pigrizia. Quando per seguire un’unica luce in realtà ci ritroviamo imprigionati in angoli bui. E siamo così rumorosi e ottusi da non sentire e vedere nient’altro.
Un disco rock in cui anche gli elementi sintetici sono domati dalla mano dell’essere umano. Oggi, per l’appunto, non si rischia che le potenzialità della tecnologia prendano, a volte, il sopravvento?
Credo sia possibile far convivere questi elementi e nel mio piccolo ho cercato di dimostrarlo. E’ un po’ la sfida del nostro tempo, nella musica ma più in generale in qualsiasi altro aspetto della vita, le potenzialità della tecnologia ma anche l’assoluta necessità che questa rimanga sotto il nostro controllo, senza permetterle di congelare emotività e poesia. Sta a noi, alla nostra sensibilità, e voglio credere che riusciremo a gestire le cose.
Ne “Il privilegio dell’indifferenza” parli di come quest’ultima possa essere sia morbo che cura. Non credi che, in determinate situazioni, si scorga nell’indifferenza l’unica via d’uscita al dolore?
L’indifferenza è la gran dama ingioiellata che divora a piccoli morsi discreti ma parla a bocca aperta. E in effetti può essere al contempo virus e cura, anche se una cura palliativa perché credo che il dolore debba essere vissuto per poterlo comprendere e godere appieno del successivo benessere. In certi momenti difficili si può rischiare di cadere nell’equivoco e preferire il nulla che addormenta piuttosto che vivere la passione e lo strazio dei sentimenti e di alcuni aspetti della realtà. Spesso però è una scelta meschina ,comoda, quella di osservare distrattamente, senza essere toccati. Il considerare la nostra esistenza in modo egocentrico, letteralmente, chiusi nel tepore del nostro piccolo mondo sicuro. Davvero molto piccolo, talmente piccolo da diventare insignificante. Questo sarebbe il fallimento dell’umanità.
“Millenium” è una chiara fotografia della società d’oggi. Qual è la tua opinione?
In Millennium descrivo un aspetto del tempo che stiamo vivendo, quello legato a un linguaggio demagogico e populista, ai falsi eroi, a un sistema che troppo spesso predilige l’arroganza e una certa sfavillante superficialità alla cultura e alla meritocrazia. Dove tutto viene mercificato, esibito e dimenticato in fretta. Dove l’intensità delle nostre vite si misura sui social e diventa quasi offensivo, sospetto, il non volerci affogare dentro. Io non voglio fermare l’uomo e la storia, credo solo si possa far meglio di così.
Intanto continua anche la tua carriera teatrale nel progetto “Poesie d’amore per donne ubriache”. Noti delle differenze tra il pubblico che viene a vederti a teatro e quello dei concerti?
E’ chiaro che un concerto rock e un monologo teatrale presuppongono due diverse modalità di ascolto, non fosse altro che per secolare tradizione. In un concerto il pubblico è quasi parte dello spettacolo, si crea una sorta di dialogo e di familiarità che tra le altre cose permette di allentare la tensione, in un certo senso tutto è più facile sia per chi suona che per chi ascolta. Con “facile” non intendo superficiale, parlo di leggerezza e senso di liberazione, energia e sudore. Il teatro è diverso. E’ la vita in scena, in una fragile bolla perché la vita è fragile, e il pubblico non respira e osserva…osserva la propria vita attraverso quella di altri e riflette, in silenzio.