Milano, 12 settembre 2018: giungiamo per tempo al Serraglio, in modo da posizionarci nelle prime file e goderci al meglio lo spettacolo dei Mercury Rev. La fila è lunga e variegata, con persone di ogni età, e si prospetta una serata ricca di interesse perché la curiosità fra i presenti è palpabile fin da subito: è difatti incredibile pensare che siano già passati vent’anni dalla pubblicazione di un album seminale ed ancora così attuale come “Deserter’s Songs”, ma il clima è quello giusto e la band, incrociata in giro per il locale, sembra carica ed entusiasta.
Il palco è inaugurato da Gioele Valenti, polistrumentista stavolta armato di sola chitarra e pedaliera ad effetti che propone una manciata di brani dal suo nuovo progetto “Herself“, che vede in un brano proprio il feat. di Jonathan Donahue. La scelta dell’opener si rivela azzeccata perché il progetto di Gioele, di cui vi parleremo su queste pagine nei prossimi giorni, ripropone in maniera personale ed assai convincente quel sound “apocaplyptic folk” melodico che caratterizza in parte le sonorità degli stessi Mercury Rev. Le canzoni proposte, praticamente l’intero “Rigel Playground” di imminente pubblicazione, sono assai apprezzate da tutti i presenti e creano la giusta cornice emozionale per il concerto dei Rev, che inizia dopo aver ultimato i preparativi sul palco.
La band di Buffalo sale sul palco tutta insieme, con Jonathan Donahue che prende posizione al centro del palco, vestito come un gentiluomo di campagna inglese, affiancato da Grasshopper alla destra: è incredibile la trasformazione del cantante sul palco che viene letteralmente posseduto dalle melodie delle proprie canzoni, al punto che i suoi occhi si spalancano divenendo ancor più cristallini e la lingua si scioglie, ora per cantare con una voce ancora meravigliosa, ora per raccontarci in maniera vivace ed entusiasta la storia dei Rev e di “Deserter’s Songs”.
Nonostante il grande successo avuto ai tempi da quest’album, il cantante non è certo scontento di trovarsi di fronte alle poche centinaia di entusiasti che compongono il pubblico del Serraglio; al contrario, quella creatasi sembra proprio l’atmosfera giusta, con l’intimismo ed il raccoglimento ideale per ricreare in una maniera più minimale il sound ed il mood notturno di quel capolavoro, proposto in una veste spogliata di gran parte dei “fronzoli” elettronici della versione su album, con l’intenzione di far scoprire con il tour del ventennale il contesto essenziale nel quale l’album fu elaborato e composto prima di entrare in studio.
Il risultato di quest’idea è un’esecuzione più folk ma altrettanto raffinata ed avanguardista dei brani di “Deserter’s Songs” per la gioia dei presenti, ai quali riesce solo di rimanere incantati dall’esecuzione di ogni brano e dalla presenza scenica di Donahue, sapiente narratore e sciamano moderno, che si lascia possedere totalmente dalle canzoni interpretate alla perfezione con l’indispensabile apporto dei suoi compagni di palco.
Le emozioni non mancano con la formazione che rende omaggio a due band amiche, eseguendo due intense versioni di “Here” dei Pavement e “Sea of Teeth” degli Sparklehorse in ricordo di Mark Linkous, esegue brani da “See You on the Other Side” chiedendo al pubblico di riscoprire anche quell’album ed il percorso artistico che da lì li condusse alla composizione di “Deserter’s Songs”.
L’approccio minimale/folk funziona e, nonostante sembri a volte spiazzante, rende giustizia all’esecuzione di tutti i brani: ci sono spesso momenti di nostalgia, con Jonathan che sembra a tratti commuoversi rievocando nelle sue interessanti disquisizioni vari aneddoti e le vicende che condussero a “Deserter’s Songs”.
La chiusura stessa del concerto è nel nome della continuità: i Mercury Rev concludono infatti questo emozionante viaggio utilizzando “The Dark is Rising”, traccia d’apertura del sublime “All is Dream” che, a detta di Donahue, “Sarebbe potuta benissimo finire in Deserter’s Songs”: una conclusione in grande stile che entusiasma il pubblico e consente alla band di uscire in un tripudio di applausi.
Resta poco da aggiungere, se non che questa prima data italiana del tour è stata emozione pura dal primo all’ultimo minuto, con una riproposizione dei brani che di primo acchito ha lasciato basiti, ma nonostante l’approccio meno barocco e più essenziale Jonathan e soci hanno saputo conquistare gli spettatori con tanti momenti da brivido e dall’esecuzione raffinata e magistrale.
Una band ancora in grado di emozionare e nel pieno della propria maturità artistica, che speriamo di rivedere al più presto all’opera con nuovi lavori.
Herself – Gioele Valenti
Mercury Rev