Emanuela Ligarò è una creatura sfuggente il cui vissuto artistico e personale si fonde in un’unica dimensione di sintesi e creazione. La stessa copertina di “Transitions”, primo album con il moniker Gold Mass, è la rappresentazione di una osmosi con la natura, di un contorcimento mimetico per rendersi simile alle radici di un albero secolare le cui arterie legnose sono conficcate nel corpo della terra. Ecco perché la musica di Gold Mass si definisce in una sospensione che la pone a metà tra una porzione eterea e spirituale (vedi alla voce Cocteau Twins) ed una gravità scura come le vibrazioni che attraversano la struttura della sua elettronica.
La registrazione ed il missaggio dei nuovi dieci brani è stato curato da Paul Savage, nel cui curriculum compaiono collaborazioni con Mogwai, Franz Ferdinand ed Arab Strap, cosa che già specifica la traiettoria di un album profondo e dalla ricca densità di dettagli, così come la scrittura dei testi che diventano un fiume di coscienza in cui la biografia si trasfigura nel racconto di una confessione liberatrice. Lo stesso uso dell’inglese è funzionale in qualche modo a recidere qualsiasi legame di appartenenza con l’autore, liberando spore di significato. In “Transitions” troviamo una pluralità di influenze manipolate con grazia, in un prodotto in cui prevale sempre la personalità della Ligarò a dare il proprio imprinting. Volendo concederci a questo poliedrico gioco dei rimandi, nelle volute della voce troviamo la sinuosa musicalità di Elizabeth Frazer dei già citati Cocteau Twins, la femminilità pugnace di Patti Smith e le nuances imperscutabili di Kazu Makino dei Blonde Redhead.
L’opener Our Reality ha un incedere umbratile, ispirato a certo trip hop di scuola bristoliana che richiama alla mente la drammaticità del cantato di Beth Gibbons, la successiva Happiness in a way è uno degli episodi più riusciti, con le sue pulsazioni, il suo spleen eighties e le sue lacerazioni sintetiche. Fade out è solo voce, piano e pochi beats, May Love make us è un soul metropolitano dagli ampi orizzonti, mentre in Sentimentally performed predomina il piano su un lento fluire di micro pattern ritmici. Il piano è ancora centrale nel singolo Mineral love, carico di un’enfasi pronta ad innescare una sottesa energia. Da segnalare le languide contaminazioni synth prossime ai Depeche Mode di Awakenings, oltreché la intensa coralità di Honey and Blood.
“Transitions” è un inquieto piano sequenza emotivo sul cui sfondo scorrono immagini in movimento che non possono essere catturate se non ad occhi chiusi. Non è un caso che sia difficile reperire una foto che ritragga il viso di Emanuela, solo immagini di lei in grovigli immaginari o di spalle impegnata nelle volute di una coreografia su una partitura mai scritta. Ottimo esordio.
Giuseppe Rapisarda