Come una valchiria alla guida di un’orda di suggestioni musicali visionarie, sperimentali e poetiche, Simona Norato irrompe con rinnovata prepotenza nella scena cantautorale italiana. Musicalmente schiaffeggia il mainstream per cavalcare con coraggio ed eleganza territori surreali e poco esplorati. Nei testi attacca il pensiero unico e le manipolazioni del potere; si schiera a fianco delle minoranze, metaforicamente un branco di bisonti enormi e respingenti. Proprio come una valchiria guida simbolicamente un’orda di brave figlie contro l’ipocrisia borghese, inneggiando alla libertà.
Title track dell’album, “Orde di brave figlie” è il suo nuovo disco, in uscita oggi 21 settembre per Ala Bianca
Il blues più puro di Pj Harvey e la grinta rabbiosa di Loredana Bertè, la St Vincent più ispirata, la Cristina Donà più spirituale, e una Beth Gibbons in versione desertica: Simona Norato richiama all’orecchio le regine della scena musicale nazionale e internazionale, mescola sapientemente queste ispirazioni alla sua profonda attrazione per i suoni dell’Oriente e dell’Africa e li restituisce in una sua convincente e personale forma.
“Orde di brave figlie” parla di relazioni in uno stretto legame tra desiderio e consapevolezza. Relazioni politiche e sociali, pure e anche pericolose ma tutte vitali.
“Le orde di brave figlie sono incontri e scontri da curare con la pazienza dei Santi”, spiega l’artista. Una santità laica che non ammette benedizioni ma tende semplicemente a riconciliarsi nell’essere umani e a vivere la propria realtà senza temere giudizi. Proprio per questo Simona si mette a nudo di fronte alla propria umanità e ne esce rafforzata: una persona reale che incarna la sua libertà a discapito di una società basata sul paradosso della finzione formale.
Nove brani – di cui due strumentali – cantati in italiano, nati e incisi in presa diretta in una comunione creativa che accresce il valore dell’opera e porta a compimento il significato di relazione artistica.
Una complessa e profonda ricerca stilistica basata anche su suoni ancestrali e su elementi compositivi del Sud Est del mondo, testimoni di un sentire politico orientato verso una migrazione opposta a quella che viene narrata dalla cronaca di tutti i giorni. Emblematico è l’amore per la terzina in due tempi, movimento caro alle visioni desertiche dell’autrice che esula dalla classica musica di matrice occidentale e ricorda a volte le atmosfere sospese tanto care a Ennio Morricone.
“Un solo grande partito” è la canzone che apre il disco: un groviglio di parole tratte da 1984 di George Orwell tra ritmiche arabeggianti, flauti siciliani e udu drum africano, in un vero e proprio mosaico di culture per denunciare le manipolazioni del potere e l’inquietante omologazione di pensiero della società contemporanea. La ballata “Chirurgia del tavolo” manifesta invece la sua convinta fede nell’effetto farfalla, secondo cui ogni gesto compiuto nel micro riverbera nel macro. Il pianoforte conduce l’arrangiamento verso lande rarefatte mentre la voce risulta drammaticamente reale.
“Scegli me tra i bisonti” e “Orde di Brave figlie” rappresentano un dittico che vuole analizzare ed esaltare la piccola moltitudine di umani legato da un unico tratto: l’appartenenza a una cosiddetta “minoranza” con una serie di riflessioni libere che denunciano con irriverenza l’ipocrisia borghese, inneggiando alla libertà e alla diversità.
La romantica “Avremo una casa nella prateria” è semplicemente una dichiarazione d’amore in punta di fioretto. Simona Norato la descrive così: “Chitarra preparata, organo elettrico percussivo, voce relegata al timbro più grave e poca ferraglia scelta dalla sapienza di Basile; la struttura del brano abbatte di netto la canzone all’italiana, come una riflessione libera fatta ad alta voce senza interruzioni”.
Un minaccioso cetaceo sottomarino e una piccola barchetta in legno sono i protagonisti dei due episodi strumentali del disco: “Orcaferone”, evocativo loop melodico ricco di fiati che richiama l’eterno impietoso ripetersi della storia umana e “Palastramu”, malinconico minuetto infantile eseguito al pianoforte a quattro mani.
Voce gracile e anima blues si fondono in “Ci chiederanno” e infine “Questo universo spione” chiude la narrazione musicale con un esempio di art pop dove una Simona adulta parla alla sé bambina.
La foto di copertina “Simona e Chiara” è di Guido Gaudioso, l’artwork è di Amedeo Perri.