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Quello che Nick Cave non ci ha detto (e forse non ci dirà mai) [Recensione]

Sfiorare l’anticonvenzionale nella musica non è cosa da poco. Soprattutto se hai 63 anni, hai pubblicato 32 album e hai fatto parte di quattro band diverse. Nick Cave è tornato. E lo ha fatto con un disco fuori dal comune. “Carnage”, 40 minuti e 8 storie diverse da raccontare, è un esperimento, se così si può definire un tentativo di rinnovare restando, comunque, legati al passato. Il cantautore australiano torna a cantare accompagnato da Warren Ellis, come già era successo più volte a partire dagli anni ’90. Eppure, la collaborazione tra i due sembra cambiare rotta e inseguire melodie e giochi psichedelici che lasciano da parte i progetti che li hanno resi celebri.

“Carneficina”. Questo il titolo tradotto dall’inglese, un annuncio apocalittico che induce a un ascolto simile a una prova di svelamento delle incognite nascoste. “Carnage” è anche il nome della terza traccia, la più descrittiva, forse, che si presenta come un inno alla forza dell’amore (“It’s only love driving through the rain”). Sequenze quasi cinematografiche, cantate da una voce che si distorce a rivelare emozioni e viaggi universali, alla ricerca dell’assoluto fra dissonanze e convergenze. Sulla stessa scia si colloca “Albuquerque”, una narrazione lenta e delicata in una spiazzante atmosfera di sospensione. Consiste proprio in questo la potenza musicale di Nick Cave: nella capacità di accostare immagini tratte dal reale piuttosto che pensieri astratti. È il vero a prendere forma, sono le favole moderne plasmate dalla maestria di due musicisti e cantastorie superlativi.

“Hand of God” apre “Carnage” e, forse per questo motivo, rappresenta un caso isolato rispetto ai 7 brani che la succedono. Versi ripetuti quasi a voler sottolineare la loro efficacia espressiva, un parlato sostenuto da un coro che più volte assume un ruolo significativo all’interno dell’album, una musica che ricorda la surrealtà melodica di “Blackstar”, testamento di David Bowie, pubblicato due giorni prima dalla sua morte. A seguire, “Old time”, un nostalgico richiamo al passato che si conclude, però, con la definitiva consapevolezza che “i vecchi tempi” non torneranno più. Non c’è ottimismo nelle visioni allucinogene di Nick Cave. C’è solo l’amara presa di coscienza di un cambiamento inesorabile, che secondo l’autore, ha lasciato indietro i sogni di tutti sulla strada tracciata dal tempo che scorre. La stessa negatività permea anche “White Elephant”, un monologo intenso che ripercorre uno dei fatti di attualità che più hanno segnato il 2020: la morte di George Floyd. Cave riprende la drammaticità dell’uccisione dell’uomo negli Stati Uniti e, soprattutto, il motto che è stato emblema di una lotta contro le discriminazioni razziali e le violenze perpetrate dalla polizia americana: “I can’t breathe”. Metafore improbabili (“I am a Botticelli Venus with a penis”) si susseguono suggestionando l’ascoltatore e lasciandolo cullare- dopo “Albuquerque”- dalla dolcezza di “Lavender Fields”. Gli autori si fanno qui ispirare dalla storia della musica recuperando la tradizione del gospel, le cui influenze consentono la creazione di un’atmosfera spirituale presente, tra le altre composizioni in “Shattered Ground”.

L’album si chiude con “Balcony Man”. Dopo 40 secondi di instrumental, Nick Cave inizia a cantare sulle note malinconiche e serafiche di un pianoforte, probabilmente la conclusione più adeguata per un progetto maturo e profondo.

“Carnage” è un disco pluridimensionale. Cercando di decifrare le pagine di un libro aperto, ci si scopre simbioticamente coinvolti, affidando i propri sensi alla musica e alle parole di chi sa descrivere nel migliore dei modi l’essere umano nelle molteplici esistenze che si trova ad attraversare.

Written By

Studentessa di Comunicazione per le Imprese e dottoressa in Economia dei Beni Culturali e Dello Spettacolo, ha 22 anni, ma al suo primo concerto era nel passeggino, mentre Ligabue urlava contro il cielo. "Il favoloso mondo di Amélie" è il suo film preferito, forse perché, come la protagonista, lascia la testa sulle nuvole, abbandonandosi a una realtà fatta di libri, musica, cinema, teatro e podcast.

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