Sapete tutti chi fosse Ronzinante? Ebbene, qualora non lo sapeste Ronzinante era il cavallo che portava Don Chisciotte verso mirabolanti ed immaginarie avventure.
“Possa portarci questa edizione del Ronzinante verso bellissimi concerti immaginari!” non sono parole mie, sono di Eugenio Cesaro, frontman degli Eugenio in Via Di Gioia, che le urla a squarciagola ad inizio concerto con la sua consueta espressione sorridente e puerile.
Per chi non lo sapesse, il Ronzinante Night è un piccolo booking festival tenutosi alla Latteria Molloy di Brescia: due palchi, uno per chi si esibisce in acustico, l’altro per le band. Gli artisti invitati sono: i Liede, gli Etruschi from Lakota, Buzzy Lao, Bianco e Nicolas Roncea.
Una serata di musica che comincia con Liede in acustico, prosegue con gli incandescenti Etruschi from Lakota (di cui il frontman mi ha ricordato molto i The Struts) che passano, successivamente, la staffetta a Buzzy Lao. Quest’ultimo anche lui nato in terra torinese ci delizia suonando magicamente la sua chitarra. Intorno a lui sembra di tornare negli anni 30 dei bluesman del Mississipi: slide alla mano e chitarra sulle gambe. E’ veramente raro trovare qualcosa del genere in Italia. Applausi. Uno degli artisti più attesi è sicuramente Bianco di cui il suo ultimo disco “Quattro” è uscito il 19 gennaio 2018. Bianco vestito di nero, la band vestita di bianco: la latteria balla, palpita e canta screanzatamente.
Prima degli Eugenio in Via di Gioia c’è spazio anche per Nicolas Roncea che ha portato alcuni pezzi del suo ultimo album “Old Toys” e un po’ di lingua inglese in una serata tutta italiana. Con il suo pop-folk sembra proprio dare il la agli Eugenio in Via Di Gioia che salgono sul palco, per ultimi a chiudere la serata.
“Siiiiii, che bello”. No, non sono le urla di un fan entusiasta, è Eugenio che urla davanti al microfono e ci dà il benvenuto. Apre: “La Punta dell’Iceberg” uno dei brani più ironici e taglienti del loro ultimo disco “Tutti su per terra”. Non è la prima volta che vedo questo gruppo di ragazzi sul palco, eppure la sensazione è sempre la stessa: ci troviamo di fronte a degli artisti che non si crogiolano nell’immagine canonica dell’artista, preferiscono suonare in modo leggero, liberi da appellativi, liberi dalle responsabilità di una ipotetica figura d’artista. Allo stesso tempo però, i testi sono sempre pieni di inviti alla riflessione. In “Obiezione” c’è il tema della moralità, trattata quasi in forma maieutica, in “Egli” c’è la drammaticità e la storia di un uomo per cui apparire è l’equivalente di non esserci; in “Giovani Illuminati” c’è una ricerca identitaria dell’odierna classe giovanile. Quando si partecipa a un concerto degli Eugenio in Via Di Gioia, non si va mai via senza sorridere ma nemmeno senza pensare. Non mi stancherò mai di dirlo.
I ragazzi dialogano con il pubblico, si scambiano vicendevolmente battute senza mai un filo di boria. Dedicano “Emilia” a una ragazza tra il pubblico e chiudono il piccolo concerto con “Perfetto Uniformato” e a metà canzone ci fanno sedere come da tradizione. Ma di tradizione gli Eugenio in Via Di Gioia ne hanno anche un’altra: quella di tramutare la conclusione di un concerto in una festa folkloristica, cantando: “Re Fasullo D’Inghilterra” (canzone tratta da Robin Hood). Tutti gli altri artisti vengono invitati sul palco a cantare e a ballare insieme ed Eugenio proprio non riesce a non gettarsi tra il pubblico, a divenirne parte. Stacca il jack dalla chitarra e scende in mezzo a noi. No, niente stage diving, scende proprio in mezzo a noi e corre di sopra, al secondo piano della Latteria Molloy e così tutto diventa palco, tutto diventa spettacolo, pubblico e artisti solo una cosa sola.
“Buona notte Latteria Molloy”. E buona notte ai suonatori.