È un lavoro dal sapore dolceamaro ma intenso “Saint Cloud”, quinto album a nome Waxahatchee per la cantautrice statunitense Katie Crutchfield. L’ex cantante dei P.S. Eliot, che ha sviluppato nel corso degli anni questo progetto solista in acustico fino a farlo ormai diventare una vera e propria band, ci propone un disco permeato da una languida e toccante dolcezza, nel quale tuttavia affronta senza reticenze i temi della dipendenza affettiva ed alcolica.
Un tema che accomuna la trentenne cantautrice dell’Alabama con Alanis Morrissette, dalla quale a tratti ci sembra aver tratto ispirazione non tanto per la voce in sé – più delicata e sommessa, seppur certamente in grado di graffiare al bisogno – quanto per la struttura e le linee melodiche grintose di brani come “Oxbow”, “Hell” e “Lilacs”.
Dietro ad un’apparente leggerezza pop/folk che ci riconduce agli anni ’70 e alle canzoni di Carole King e Linda Ronstadt (complice l’artwork e la mise bucolica dell’artista), i brani di “Saint Cloud” rivelano un profondo senso di struggimento e lotta interiore, che l’artista nella sua vita personale ha risolto grazie alla relazione con Kevin Morby. Ciò non significa che queste undici canzoni risultino oscure o pesanti: al contrario, la bellezza ed il valore dell’ultimo lavoro di Waxahatchee risiedono nel tono leggero e positivo con cui Katie racconta in ognuno di questi brani il passaggio dall’ombra alla luce.
La delicatezza semiacustica e vocale di canzoni come “The Eye”, “Arkadelphia” o “Ruby Falls” si unisce ad un sommesso ma al contempo deciso desiderio di riscossa. Rimaniamo così coinvolti in un percorso musicale e di crescita interiore, capace di lasciarci alla fine dell’ascolto un profondo senso di leggerezza e, perché no, un sorriso sereno stampato sul volto.
“Saint Cloud” è un album da ascoltare osservando le nuvole che attraversano il cielo azzurro, che con queste undici belle canzoni condividono la semplicità ed il senso di libertà, senza più pesi che ci tengano a terra.