“Cogliere e rendere eterno l’attimo di corrispondenza in cui avviene il miracolo della perfetta armonizzazione tra raffigurazione e realtà, tra luce e colore, tra movimento e staticità, tra natura e artista”.
È Claude Monet stesso, pittore simbolo di un rinnovamento culturale senza eguali, a metterci in guardia su quello che bisogna aspettarsi prima di entrare, in punta di piedi, all’interno del suo universo interiore, uno degli universi artistici più sorprendenti e affascinanti di sempre, fatto di delicatezza, sensibilità e perfetto equilibrio, sempre sulla soglia tra sogno e realtà.
Avere la possibilità di osservare un Monet, nel corso della propria vita, è un regalo prezioso. Avere la possibilità di vederne un’intera collezione è una gioia infinita. Organizzata dal gruppo Arthemisia e curata da Marianne Mathieu, è visitabile a Roma fino al 3 giugno 2018 un’esposizione che, nell’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano, raccoglie le opere del padre dell’Impressionismo. Le tele esposte sono sessanta, provengono dal Musée Marmottan Monet di Parigi e, donate dal figlio Michel al museo, sono una vera e propria testimonianza dalla casa del pittore a Giverny.
Seppur troppo breve – ché quando si guarda un Monet, si sa, non ci si stanca mai – quella al Vittoriano è una vera e propria full immersion, accurata e coinvolgente, nella vita e nella carriera di uno dei pittori più amati dal pubblico internazionale: una festa di colori, di luci, di impressioni fugaci che dialogano con i nostri sensi e ci mettono in contatto con la parte più istintiva del mondo attraverso una personalità stravagante che fece della tecnica en plein air un vero e proprio rituale di vita.
Dai primissimi ritratti dei figli e dalle caricature dei familiari agli splendidi paesaggi urbani e rurali di Londra, Parigi, Pourville, Vétheuoil, dai fiori del suo giardino, passando per i salici piangenti fino ad arrivare al ponte giapponese e alle famosissime Ninfee, l’esposizione al Vittoriano fornisce un percorso completo e variegato alla scoperta di uno degli animi più sensibili del nostro mondo, tentando di ricostruire non solo la sua carriera artistica ma anche le infinite sfaccettature della sua produzione.
In particolare, sono le ultime sale a sconvolgere lo spettatore, tentando di ricostruire il giardino di Giverny con tele monumentali. Tele che testimoniano l’ossessione di Monet per questo piccolo universo interiore ed esteriore che, con tanta cura, aveva costruito e che cercava di riprodurre, cogliendo ogni più piccolo cambiamento, in ogni dipinto.
Il viale delle rose, il ponte giapponese in legno e quelle amate e ricorrenti ninfee che gli impedivano perfino di dormire la notte per quell’ansia perenne di cogliere ogni impressione, ogni momento della giornata, ogni stagione. Attimi che, da un momento all’altro, avevano una capacità unica di ridefinire lo spazio esteriore ma allo stesso tempo provocare profondi turbamenti nell’animo di chi lo guardava.
Quello di Monet non è solo un piccolo miracolo artistico, non una gioia per gli occhi né un modo come tanti di rappresentare la natura. Quello di Monet è un viaggio incredibile – personale e universale al tempo stesso – che ha la capacità di mettere in connessione intima lo spettatore con la natura. Un viaggio verso l’Arte e la Bellezza, la cui totalità dà vita a un’esperienza corporea e spirituale che forse svela il senso del vivere con l’arte e per l’arte.
Proprio per questo, forse, quella al Vittoriano è un’esposizione che coinvolge a trecentosessanta gradi lo spettatore e che si preoccupa di coccolare tutti i sensi: grazie ad alcune installazioni e pannelli digitali, infatti, il visitatore viene trasportato in un altro tempo. Fuori dal tran tran urbano, lasciato fuori dalle grandi finestre che danno sui Fori Imperiali, sembra di passeggiare invece tra la pace e la bellezza infinita del giardino fiorito di Giverny.
John Keats scriveva: “Una cosa bella è una gioia per sempre”. Dopo aver visitato l’esposizione di Monet al Vittoriano, ne siamo più convinti che mai.
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Report a cura di Antonietta Bivona