CABEKI
“Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge”
2016 – Brutture Moderne – Audioglobe
Uscita: 07/10/2016
Cabeki è il moniker dietro cui si cela Andrea Faccioli, musicista dotato di una sensibilità ad ampio spettro comprovata, peraltro, da innumerevoli collaborazioni (vedi alla voce Le Luci della Centrale Elettrica, Julie’s Haircut, Baustelle, Xabier Iriondo, solo per citarne alcuni). Cinque anni dopo l’esordio intitolato “Il montaggio delle attrazioni” e quattro anni dopo “Una Macchina Celibe”, Faccioli pubblica “Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge”.
L’album è un almanacco interiore di un luogo dell’inconscio in cui rifugiarsi, rintanarsi in posizione fetale come dentro ad un nuovo sacco placentare che restituisce in forma attutita il fragore impietoso del mondo. Le dieci tracce che compongono l’album sono congegnate in forma di piccoli scorci di vita all’interno dei quali scorre una musica estemporanea e, nello stesso tempo, scandita dalle regole di una metrica ragionata.
In qualche modo i caratteri del progetto denominato Cabeki sono ben rappresentati dalla grafica di copertina curata dai disegnatori francesi Icinori dove campeggia un bosco dalla geometria surrealista che mescola la natura a forme architettoniche post moderne. La musica di Cabeki nasce come commistione di elementi apparentemente distanti ed inconciliabili, in un naturale moto che fonde l’elettronica con la tradizione, loop station, drum machine e tape echo con il suono del banjo, del cumbus, dell’oud oppure del liuto mediorientale, definendo un ideale meridiano in cui Oriente ed Occidente risultano perfettamente allineati come in una eclissi.
Il fingerpicking di Disgelo, la traccia di apertura, ci introduce in un viaggio introspettivo che ricorda per intensità il mood del recente “L’atlante della polvere” di Egle Sommacal, grazie al suo intreccio armonico dall’attitudine cinematica, così come la successiva Prima Luce la cui ambientazione sonora assume livree di classicismo. L’umbratile Umanità ha battiti legnosi che si interrompono per lasciare spazio ad un inatteso respiro ambient, mentre i riverberi de La Vetta ci parlano degli spazi desolati dell’anima attraverso un lessico post rock. Mentre la prima parte dell’album è connotata da maggiore propensione aerea, la seconda sposta il proprio baricentro su un livello più terreno. Basti ascoltare l’incedere definito dall’armonia di Disarmo che sembra scritta per accompagnare la narrazione di riti antichi, oppure l’andamento circolare ed ipnotico di Cromo. Se in Falia il violoncello di Julia Kent è quel vento che spalanca le finestre lasciando entrare la luce in una casa vuota, in chiusura Ultima Luce è la lacerazione di una tela bianca da cui si intravede il cielo.
“Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge” è una sorta di sonorizzazione per viaggi immaginari che non sfigurerebbe come colonna sonora di un film italiano d’autore. Da ascoltare senza alcuna fretta.
Giuseppe Rapisarda
