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Franz, un perfetto equilibrio tra romanticismo e visionarietà [Recensione]

S’intitola “Dietro a ogni cosa” l’atteso debutto di Franz, al secolo Francesco Riva, cantautore e compositore giunto agli onori della stampa specializzata grazie al conseguimento di un lusinghiero secondo posto alla XVII edizione del “Premio Fabrizio de André” con il brano “Settembre”, che apre proprio questo disco. A distanza di qualche tempo dalla nostra precedente intervista, vi possiamo subito dire che ne è davvero valsa la pena di attendere qualche mese per la pubblicazione di questo sorprendente debut.

“Dietro a ogni cosa” è difatti un lavoro affinato e curato in ogni minimo dettaglio, attraverso il quale Franz riesce ad esprimerci la sua sensibilità musicale ed artistica a 360º in otto canzoni e due intermezzi, trovando il trait d’union perfetto fra la sua personalità di compositore tout court di colonne sonore e quella di cantautore romantico ed osservatore del mondo.

A colpirci da subito è l’artwork dell’album: nel disegno intravediamo un piccolo e distinto personaggio osservare nel buio quella che sembra una luminosa falce lunare, salvo accorgersi che in realtà quelli sono i bordi di una finestra che riflettono solamente la luce lunare, scorgendo all’interno di quest’oblò quel cielo stellato celato al contrario dalla cupa e spoglia parete dinanzi a cui si trova il protagonista. Un’inversione di prospettiva e un gioco di complementarità degli elementi che ci ricorda Magritte, esprimendo il senso di poesia e di cura degli otto brani di Franz.

Apre il disco “Settembre”, per l’appunto, un lavoro carico di riferimenti letterari – “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati – e cinematografici, in cui a dominare la scena è il contrasto fra la voce del protagonista intento a scrivere una lettera all’amata e le disarmonie strumentali che sembrano preludere all’atteso scoppio delle ostilità. Il senso di attesa nei confronti della guerra e dell’amore rimane sempre frustrato, gli anni passano e tutto si ripete senza che nulla cambi, se non l’età e i sentimenti del protagonista, che a dispetto di ogni buon proposito cede via via il passo ad un’inconscia rassegnazione. Utilizzando solamente la musica e le parole, colpisce nel profondo il modo in cui Franz sintetizza e ci lascia immaginare la desolazione del capolavoro di Buzzati.

Si inizia a danzare con “L’America”, brano dal forte taglio cinematografico e dal sapore classico, con cui Franz ci fa riassaporare il fascino delle ambientazioni di inizio Novecento: orchestrazioni sublimi proiettano la nostra immaginazione in un’epoca idealizzata e suggestiva, lasciandoci sognare una danza su un transatlantico o la ricerca di qualche storico locale jazz in quel di New York. Una canzone capace davvero di farci sognare, immaginandoci come i protagonisti di un film di Tornatore o Bertolucci.

Fra i brani che più abbiamo apprezzato, troviamo sicuramente “Il lungo addio”, ironica storia di una dipartita verso un aldilà perfetto o forse troppo. Il contrasto fra la voce narrante del protagonista Paolo Agrati, affiancato dalla splendida tromba di Stefano Iascone dei Cacao Mental, e l’ironico e caustico ritornello intonato da Franz, accompagnato da un giocoso tappeto di pianoforte ed archi. La troppa perfezione di un Paradiso perfetto e l’ironia della situazione ci lasciano quasi pensare che Franz abbia voluto trasporre in musica quel vecchio aforisma in cui Oscar Wilde ci diceva “preferisco il Paradiso per il clima, l’Inferno per la compagnia”.

Niente politica né citazioni di Fossati ne “La canzone popolare”, che è piuttosto una riflessione introspettiva sul senso dell’artista per i gusti “popolari” e sul desiderio di piacere, trovando il giusto compromesso fra apprezzamento, mondanità pop e le proprie, personali aspirazioni artistiche. Orchestrazioni gotiche che sembrano omaggiare il “Fantsama dell’Opera” e canoni classici della canzone d’amore italiana si fondono alla perfezione in “Ricordi”, mentre la title track si rivela una sorprendente e profonda preghiera laica, in cui Franz unisce in maniera toccante poesia e musica sacra.

Un secondo interludio apre la via verso la conclusione dell’album. Per prima ascoltiamo la gustosa “Fred Astaire” che ci offre un ironico affresco di storia della musica, con divertenti immagini di Fred Astaire, Ringo Starr, Maurice Ravel e Roger Waters narrate a mo’ di stornello. La conclusione dell’album è affidata a “Gli Specchi”, una bella storia corale di romanticismo e ricerca di felicità, nella quale Franz intreccia le vicende di quattro personaggi immaginari attraverso le ormai consuete orchestrazioni di classe, unite ad un gusto pop raffinato che ci ricorda assai la collaborazione Fabi-Silvestri-Gazzè.

Alla conclusione di questi trenta minuti di volo pindarico, abbiamo la consapevolezza di trovarci di fronte ad un lavoro unico nel suo genere. Franz nel corso degli anni ha affinato il suo percorso di ricerca, trovando uno stile assolutamente personale, nel quale egli ha fuso perfettamente gli stilemi popolari  a quelli caratterizzati da una vocazione più colta: jazz, rock, musica classica e da colonna sonora si uniscono alla brillante e romantica leggerezza della miglior canzone d’autore italiana.

Romantico visionario capace di dar vita attraverso i propri brani a tanti piccoli, suggestivi cortometraggi sonori, Franz è certamente un artista unico per stile e sensibilità artistica all’interno della scena italiana, che vi consigliamo di scoprire al più presto.

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