Dopo l’esordio con il disco “Fame”, gli Zeman sono tornati con il secondo e nuovo album Non abbiamo mai vinto un cazzo, uscito a fine aprile per To Lose la Track. Un lavoro, il cui titolo si riferisce alla critica posta costantemente a Zeman dai suoi detrattori, disco meno istintivo del precedente, ma con alla base sempre la voglia di divertirsi e di divertire tipica del quartetto friulano.
In una società in cui le vie di mezzo sono estinte, o si vince o si perde, voi non avete vinto un cazzo?
Sicuramente non abbiamo mai vinto un cazzo, nemmeno due euri da un gratta e vinci all’autogrill. Autogrill che può essere metafora di una tappa di un viaggio. Vincere, o credere di avere vinto, probabilmente significa anche essere arrivati, o sentirsi tali. E’ quindi un po’ morire. Preferiamo ancora il viaggio. E penso che lo preferiremo a lungo.
Questo nuovo disco possiamo definirlo un lavoro più ragionato e maturo rispetto a “Fame”?
Sì, ci abbiamo messo due anni, ma alla fine sono stati gli ultimi sei mesi ad essere davvero produttivi. Abbiamo smesso di trovarci in sala prove e provato a scrivere nuovi pezzi da zero. Allora abbiamo messo sul piatto cose che avevamo in testa, le abbiamo registrate in bozza e poi ognuno ci ha lavorato sopra. E’ necessario lavorare così, pur abitando vicini, gli impegni ci tengono lontani e non puoi concentrare il momento creativo unicamente nel momento delle prove. Che rimangono ad ogni modo sacrosante.
In “Smettila di smettere” toccate il tema della depressione raccontando come, spesso, trovare qualcuno che ti aiuti a vedere le cose sotto un’altra luce potrebbe già rappresentare un primo passo per oltrepassare il buio…
Sì, inutile nascondersi, penso siano poche le persone che durante l’adolescenza o nella post adolescenza prolungata 😉 (fino ai 50 anni ormai) non siano stat* demotivat*, ma il punto di vista di un’altra persona, sia essa il partner o un amico, può davvero far scomparire la nebbia che offusca la mente quando vedi tutto nero.
“La rivoluzione”, invece, è stata scritta dal poeta udinese Antonello Dinapoli. Di cosa parla?
Parla della potenza della verità, anche nelle piccole cose. La verità per capire quello che hai attorno. La verità che sta in chi guarda, perché essa non è mai una sola. La cosa più importante, però, è dirsela la verità, così da poter star bene con se stessi.
Quei due numeri sulle bici presenti nella foto di copertina hanno un significato particolare?
Se te lo spieghiamo, poi dovremmo ucciderti. Meglio non fare certe domande, man! 😉
Chi è l’ascoltatore medio degli Zeman?
Ah ditecelo voi. Sicuramente, dati FB, piacciamo di più ai maschietti più o meno nostri coetanei. Ci piace pensare sia qualcuno che venga dal punk, che abbia consumato Fugazi, Clash e le uscite della Dischord, che sappia chi erano i Kina, ma che allo stesso tempo ascolti anche qualcosa di nuovo, che non si fossilizzi solo sulle cose che escono oggi in Italia, semplicemente perché ogni tanto siamo troppo autoreferenziali. Sapere che esistono altre scene nel mondo può solo contribuire a comprendere meglio e a pretendere standard alti, di scrittura, suono e ricerca musicale. E’ quello che cerchiamo di fare anche noi, poi, ovvio, l’idea si scontra con i mezzi che ognuno di noi ha… 😉
Intervista a cura di Cinzia Canali