da Black Jezus “They Can’t Cage the Light”
Etichetta: Weapons of Love
Uscita: 13/11/2017
Troina è un paese incastonato nella pancia della Sicilia, nel mezzo di un entroterra severo che d’estate si trasforma in un campo dorato bruciato dal sole, ed arroccato ostinatamente su un’altura che sembra segnare i fasti di una decaduta nobiltà. Ci sono luoghi geografici che a volte perdono i propri connotati reali per immergersi in un’aura immateriale in cui lo spazio si relativizza e risponde a regole innaturali. Troina come Bristol, la Sicilia come la terra d’Albione, in un mescolarsi di sangue per siglare un patto che travalica i confini della logica. Luca Impellizzeri e Ivano Amata nascono a Troina dove nel 2012 pongono le basi di quello che diventerà da Black Jezus come progetto musicale vero e proprio, facendosi già conoscere nel 2014 con l’interessante EP “Don’t mean a thing”.
A distanza di tre anni da quell’esordio i da Black Jezus danno alle stampe per la label Weapons of Love “They can’t cage the light”, primo lavoro sulla lunga distanza da cui si definisce un tracciato musicale che trae ispirazione tanto da coordinate trip hop, quanto electro pop, soul e black in genere. L’elettronica dei da Black Jezus gioca un ruolo determinante nell’economia dei brani, sempre essenziale nello sviluppo dei pattern ma ricca di textures, ricordando il lavoro ritmico di Andy Barlow su “Distance and Time” di Fink. Le tracce sono attraversate da uno spessore emotivo che emerge dal continuo intreccio dell’elemento acustico con quello sintetico, vicine alle soluzioni dello stesso Fink nella loro elaborazione di un’idea di soul metropolitano in cui porre al centro sempre e comunque la voce.
Dopo il breve gospel dell’omonimo opener They can’t cage the light, il delicato arpeggio di Ways ricorda l’accoratezza di José Gonzalez con il cuore nero, così come la successiva You Made The Rules è attraversata da una pulsante irrequietezza. La parte centrale è occupata da Dry, uno dei momenti migliori dell’album, con una linea armonica di grandissima intensità e beat che sembrano uscire direttamente da “Blue Lines” dei Massive Attack, oltreché dall’ottimo electro folk di Don’t Mean a Think. Se Emptyness is You conferma la versatilità vocale di Luca Impellizzeri, Like Holy Water è un folk apocalittico che potrebbe essere di Mark Lanegan così come del sodale Greg Dulli. In chiusura, il vibrato del Fender Rhodes di Sometimes richiama qualcosa che è racchiuso nel mood dei Portishead di “Dummy”, con lo slide tagliente a risaldare il legame con il blues.
“They can’t cage the light” è più di un album, è una dichiarazione d’amore verso la grandezza della musica fatta da chi ha nel sangue i segni culturali della mescolanza, lo sguardo di chi ha incontrato tanti volti e l’urgenza di raccontare le vite incontrate per strada. E la Sicilia non è mai stata così vicina al resto del mondo.
Giuseppe Rapisarda