Parlare di dream pop e suggestioni new wave nel nuovo lavoro dei Les Enfants è abbastanza semplice: Isole è una naturale prosecuzione dei loro lavori, di una ricerca del suono minimale e pura che è abbastanza accattivante.
Mentre sto ascoltando il disco sto leggendo il risultato delle elezioni in Ecuador, e lo sto facendo per puro caso, ma queste notizie mi offrono un ottimo punto di svista su questo cd, che sembra uno di quei paesi dell’America Latina, ricco di contraddizioni, diviso e che cambia direzione ad ogni nuova stagione.
Jeff VandeerMeer, scrittore di fantascienza conosciuto per l’invenzione del new weird, genere che mashuppa fantasy e fantascienza ha detto in una recente intervista: “A volte le spiegazioni (recensioni in questo caso) sono quelle che facciamo quando non possiamo realmente immaginare il futuro”. Forse il gruppo deve proprio ripartire da queste fusioni di genere e fare una ricerca non solo sonora ma anche testuale, perché nelle parole e nelle banalità probabilmente si perde un pochino il senso del loro lavoro.
Il potenziale del disco lo trovo nascosto in un racconto di Foster Wallace “Forever Overhead”, dove il giovane protagonista si ferma a molleggiare sul trampolino di una piscina e osserva il mondo, i corpi intorno a lui. I Les Enfants potevano partire proprio dalle dinamiche dei loro suoni, che sono interessanti e curati, e osservare in modo maniacale tutto il circo umano, terrestre, spaziale tirando fuori una bomba pazzesca.
Il troppo distacco tra testo e musica si sente in pezzi come Miracolo o Mostri, e mi lascia perplesso se non arrabbiato. È un album che lascia un pochino di amaro in bocca: ripartire da questo dream pop potrebbe essere una scelta vincente, basterà ripulire meglio il dipinto e tutto l’universo costruito dai Les Enfants potrebbe diventare stupendo e ricco di idee.