Ormai non ci sono dubbi: se il ritorno sulle scene con la reunion del 2012 aveva costituito un’assai lieta notizia per i fan e la pubblicazione, nel 2017, di un eccellente album di inediti come “How Did I Find Myself Here?” contribuito al definitivo rispolvero del marchio Dream Syndicate, all’insegna di quella classe ed ispirazione che ha sempre contraddistinto la particolare carriera dell’act losangelino, oggi, nell’anno di grazia 2019, ci ritroviamo ancora una volta a parlare con sorpresa di questa band tornata ormai sulla breccia dell’onda.
I “nuovi” Dream Syndicate – capeggiati come ovvio dal mitico Steve Wynn con i fidati Mark Walton e Paul B. Cutler, con il chitarrista Jason Victor ormai perfettamente integrato nella line-up ed il tastierista Chris Cacavas ultimo arrivato- compiono difatti ciò che nella maggior parte dei casi non ti aspetteresti da una band rinata da una reunion: osano, cercano nuove soluzioni, evolvono il proprio sound pur restando fedeli alle proprie radici alt-rock/paisley diventando oggi la miglior alternativa di se stessi, senza rinnegarsi.
Si calano, insomma, nel presente, onorando pienamente il titolo del loro album “These Times” evitando di far leva sulle armi della nostalgia: il sound si fa più heavy, dark e psichedelico grazie alla scrittura dell’ispirato mastermind Steve Wynn, che in un paio di brani (“The Way In” e “The Whole World’s Watching”) si fa aiutare dall’ultimo arrivato Chris Cacavas, personaggio di culto nella più alternativa scena psych-folk americana. Gli equilibri interni della band sono consolidati, ed il risultato si sente da subito, con un’ouverture alt-rock in cui sonorità heavy si intrecciano ad arpeggi shoegaze definendo una cifra stilistica assolutamente particolare (“The Way In”), passando il testimone prima al granitico road rock di “Put some Miles On”, che ci riporta sulle highway americane sulla falsariga certi noti brani di ZZ Top e Billy Idol, per cambiare nuovamente le carte in tavola con l’oscura “Black Light” e le sue sonorità psych/kraut cariche di giochi elettronici.
Tanta carne al fuoco, all’interno della quale non mancano in ogni caso i tributi ai mentori Neil Young (“Still Here Now”, ricca di sapore à la Crazy Horse) e Lou Reed con “Bullet Holes”, che regala l’interpretazione più intensa ed evocativa di Steve all’interno dell’album; i vari stilemi sono incrociati in maniera ben dosata e godibile per l’ascoltatore, che riassapora la velocità in pezzi come “Speedway” e le tastiere di Chris che rievocano quelle di Ray Manzarek, decollando verso lo spazio con “Space Age” per perdersi definitivamente in esso grazie alle melodie prog di “Treading Water Underneath The Stars”; sembra infatti che questi tempi non siano dei migliori neanche per Wynn e compagni, molto critici verso l’attuale amministrazione USA, che quasi danno l’impressione di raccogliere quanto di buono fatto negli anni passati per farlo riscoprire agli ascoltatori di oggi e ripartire simbolicamente con essi verso una nuova era.
In un’epoca confusa, i Dream Syndicate sono definitivamente tornati, passando dal ruolo di gruppo cult a riferimento della scena alternative, semplicemente grazie ad una ritrovata ispirazione che li ha portati a rimettersi in gioco come pochi provano a fare.
Tracklist:
- The Way In
- Put Some Miles On
- Black Light
- Bullet Holes
- Still Here Now
- Speedway
- Recovery Mode
- The Whole World’s Watching
- Space Age
- Treading Water Underneath The Stars