La depressione, in musica, può manifestarsi sotto diversi aspetti. C’è chi la esorcizza tramite urla e potenza sonora, c’è chi si lamenta e…
C’è chi contempla.
Anno 1992, giorno 14 settembre. La storica etichetta 4AD rilascia il capolavoro di uno dei contemplatori più grandi della storia della musica alternative: Down Colorful Hill dei Red House Painters, guidati dall’allora giovane Mark Kozelek (oggi mente principale del meraviglioso progetto Sun Kil Moon). Il brano di cui vi vorrei parlare per questa uscita di No Song si chiama Medicine Bottle, il secondo brano del disco appena citato.
Kozelek non vuole estirpare la sua noia tramite la musica, ma osserva la tristezza, la elabora e la racconta con un tono elegiaco e rassegnato al tempo stesso. Medicine Bottle è una canzone chiave per questo tipo di filosofia.
Sono nove minuti abbondanti e ossimorici: l’arrangiamento minimalista e il canto soffuso di Kozelek sono dolci e cullano l’ascoltatore, eppure è impossibile non percepire la depressione. Per creare questa intrigante suggestione musicale sono bastati soltanto una batteria soffice, un incessante stremino di chitarra acustica e delle frasi elettriche languide reiterate con sapienza. Come genere siamo sullo slowcore (Down Colorful Hill è considerato uno dei capolavori del genere), ma si percepiscono forti tinte folk e cantautorali che differenziano i Red House Painters da altri mostri sacri come Codeine e Low.
Il testo è semplicissimo. Kozelek racconta una storia da pelle d’oca: evoca il suo passato con una naturalezza accessibile soltanto ai geni e dispensa slogan tristi con una semplicità imbarazzante.
Ci confessa una sua turbolenta relazione passata:
“So try living life, instead of hiding in the bedroom
Show me a smile and I promise not to leave you.”
Dei sentimenti molto, ma molto travagliati:
“It’s all in my head, I said, banging up piano
I’ve never been so alone, I thought, since kicking in the womb.”
“The hurting never ends,
Like birthdays and old friends.”
E paesaggi desolati:
“It happened under a rainy cloud,
passing through the dark south,
we went into a big house and slept in a small bed.”
Per me questo brano ha un valore inestimabile. L’ho ascoltato sotto l’influenza di ogni stato d’animo possibile ed immaginabile. Credo che la volta che mi abbia colpito di più sia stata in un viaggio di ritorno su un pullman. Ero appena uscito da uno spettacolo serale al Piccolo Teatro Strehler di Milano; ero andato sotto iniziativa della mia scuola superiore. Non appena conquistato il mio posto in pullman, ho cercato frettolosamente un posto comodo, ho infilato gli auricolari e messo in riproduzione Medicine Bottle dal mio (ahimè, defunto) iPod Nano. Già dalle prime note, l’anonima periferia milanese era diventata nebulosa, gli altri studenti mi parevano lontani; in tutto il mondo sembrava ci fossimo soltanto io, Mark Kozelek, il buio e una melliflua malinconia.
Eccovi linkato il video della canzone. Pelle d’oca e feels garantiti!