Nella mitologia greca il termine dodekathlos indica le celeberrime dodici fatiche di Eracle: proprio questa vicenda è il fulcro narrativo di Dodekathlon, secondo full lenght degli olandesi Bleeding Gods, pubblicato per i tipi di Nuclear Blast a tre anni dall’esordio Shepherd Of Souls. Le – ovviamente – dodici tracce di questo concept album si presentano come un concentrato di epico death e black metal a forti tinte sinfoniche, che richiama nomi di spicco quali Septicflesh, Behemoth, Dimmu Borgir, e tutta una serie di band che, fra alti e bassi, portano avanti un discorso in cui a farla da padrone è l’incontro di aggressività metallica e grandeur orchestrale. Il filone stilistico è, in effetti, abbastanza abusato: ciò non impedisce ai Bleeding Gods di dare alle stampe un buon album, ben scritto, ben prodotto e non banale.
Gli olandesi non si fanno desiderare e sfoderano i propri assi già nei primi momenti della tracklist: la tripletta iniziale si fa valere per una melodrammatica “Bloodguilt”, impreziosita da una voce molto espressiva, a cui seguono la sinfonica “Multiple Decapitation” una “Beloved By Artemis” che a un death metal furioso inframezza aperture melodiche con un che di eterno e colossale. Il resto dei brani riprende, rimescolandoli, più o meno gli stessi elementi, facendosi valere per un uso cosciente dell’elemento sinfonico – facile scadere nel pacchiano, in questi casi – che riesce a erigere un muro sonoro cinematico coinvolgente. Le orchestrazioni si fanno, spesso, più atmosferiche che pompose, richiamando sonorità antiche e orientali (“Saviour Of Crete”) in linea con il concept del disco. In più, i Nostri riescono a bilanciare momenti e soluzioni diverse, a volte più aggressive, altre più melodiche, ponendo in ogni caso l’accento sull’interpretazione, più che sulla violenza (“Birds Of Hate”) o sulla tecnica (“Seeds Of Distrust”) fine a se stessa.
Dodekathlon si presenta, dunque, come un album ricco, sontuoso, che non potrà non fare la gioia dei fan di un determinato suono – quel Nuclear Blast sound spesso vituperato, ma qui nella sua forma migliore e meno laccata. Se non amate questa attitudine, e se vi lasciate intimidire da un album che, a dispetto della durata considerevole, presenta ben poca mobilità stilistica, andate oltre. In caso contrario, non lasciatevi scappare i Bleeding Gods.