Amore povero è il primo Lp, prodotto da Sick et Simpliciter, di Dutch Nazari. Dopo la pubblicazione di due Ep, questo disco segna sicuramente una nuova fase compositiva dell’artista e soprattutto conferma la sua bravura nel saper accostare con maestria il rap e la melodia tipica del cantautorato.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui.
Hai pubblicato un album che, pur mantenendo uno stampo rap, mette in risalto sia la tua abilità canora e sia una forte componente melodica…
Lo prendo come un complimento, quindi grazie.
“Amore povero” è stato prodotto da Sick et Simpliciter che collabora con te dagli esordi. Cosa vi ha fatto incontrare?
Io e Sick et Simpliciter siamo amici da una vita, andavamo allo stesso liceo. A un certo punto, attorno al 2011, abbiamo formato un collettivo chiamato Motel Filò che riuniva varie espressioni artistiche, di cui era membro anche il poeta Alessandro Burbank. Abbiamo così iniziato a unire le parole che io scrivevo alla musica che lui componeva, e ci siamo trovati così bene che non abbiamo più smesso.
Il tuo modo di scrivere si avvicina molto al cantautorato italiano. C’è un artista la cui musica ti ha in un qualche modo ispirato?
Tantissimi a dire il vero. Gaetano, Dalla, Bersani, Guccini. La canzone d’autore italiana è uno dei due principali filoni nel solco dei quali mi sento di essere inserito. L’altro è il rap. La musica che faccio è frutto principalmente di queste di influenze.
Vedendo quell’accendino acceso nella copertina dell’album ho pensato ad un’associazione con l’amore che in assenza d’altro ti permette di sopravvivere, di scaldarti…giusta metafora?
Sì, è sia metafora dell’Amore che arde, sia dell’elemento (il fuoco) che in totale assenza di mezzi, e dunque in Povertà, ti permette di sopravvivere, di scaldarti se è freddo, di illuminarti se è buio.
In “Un fonico” troviamo il featuring con Willie Peyote che, con il suo ultimo disco, sta finalmente raggiungendo un pubblico sempre più ampio. Cosa pensi dell’evoluzione musicale italiana degli ultimi anni?
Ne penso molto bene. In particolare mi piace vedere come alcune barriere ideologiche tra generi si stiano progressivamente sgretolando. Proprio Willie Peyote in questo periodo sta lavorando al suo nuovo disco, e posso solo dire che a mio avviso alzerà ulteriormente l’asticella.
“Near Venice” racconta di un rapporto oserei dire conflittuale con le lingue straniere… come te la cavi realmente?
“Parlo un po’ tutte le lingue, anche se non tanto bene”. Mia madre è australiana, quindi ho imparato l’inglese da piccolo. Per il resto ho un infarinatura di francese, tedesco e spagnolo. Non so parlare bene nessuna di queste lingue, ma so usarle per comunicare diciamo.
Intervista a cura di Cinzia Canali