Sonorità post-rock e ritorni al cantautorato classico italiano sono al centro di Arcadia, il nuovo disco di Orfeo, progetto cantautorale di Federico Reale. L’album, uscito per l’etichetta Cane Nero Dischi, accompagna l’ascoltatore verso un percorso di rinascita e di rivoluzione interiore.
Intervista di Eleonora Montesanti
Federico, cominciamo proprio dall’inizio: c’è stato un momento preciso in cui hai capito che la musica avrebbe avuto un ruolo così importante nella tua vita e che saresti diventato Orfeo?
Il fatto di essere Orfeo l’ho capito abbastanza tardi perché nonostante avessi già compreso che la musica avrebbe per sempre fatto parte di me, non ero ancora capace di capire che cosa potessi esprimere di me stesso. Un giorno ho pensato che forse potevo anche dire quelle 5 o 6 cose che avevo capito di me.
Arcadia è il tuo secondo disco, ben equilibrato tra (post) rock e cantautorato. I testi, infatti, sono intrisi di significati e, molto spesso, la musica aiuta ad approfondire sensazioni e suggestioni. Come sono nate le canzoni che compongono l’album?
Sono nate tutte dentro una casa. Mi piace avere un ambiente immobile intorno. Sono tutte canzoni che esprimono quello che provavo nel momento in cui le ho scritte, quello che desideravo, alcune cose si trascinano, altre si perdono, è per questo che si scrive, per ricordarsi cosa si era e cosa si vorrebbe essere.
In Io che non sono il sole parli della normalità come qualcosa a cui aspirare. Che cos’è, per te, la normalità?
Come dici giustamente è sicuramente qualcosa a cui aspirare, io non so esattamente che forma abbia, io scrivo nei momenti, quindi un giorno penso che la normalità potrebbe essere andarsi a mangiare un gelato e il giorno dopo andare a chiudersi in una baita in montagna. Non so dare una forma ma so che sicuramente un giorno capirò che cos’è. Nel caso della canzone è uno spazio sano tra due persone.
Per caso la musica c’entra qualcosa col fatto di dover liberare la propria forma migliore?
Assolutamente sì. La musica mi aiuta a “essere”, senza musica scriverei poesie e non ne sarei in grado perché non vedrei le parole come le penso, immerse nel suono.
Ho notato che molto spesso nel disco menzioni l’estate. Qual è il tuo rapporto con questa stagione?
E’ una stagione molto malinconica. Ti dà l’impressione di essere migliore e che tutto quello che fai è bello, e magari è anche così in quel momento, poi scatta il 1 Settembre e finisce tutto, gli amori non hanno più quei profumi, gli amici non hanno più tempo, il cielo si stufa di essere blu e così arriva l’autunno che rivela la realtà.
Quali sono state le ispirazioni musicali, letterarie (e più in generale culturali) che ti hanno accompagnato durante la fase più creativa della nascita dell’album?
Dici bene con “accompagnato”, io tendo a non farmi ispirare troppo da quello che sento e leggo e non riporto niente di quello che sento e leggo . Ma è altresì vero che una buona compagnia culturale aiuta sicuramente a ragionare meglio. Durante la nascita dell’album mi sono avvicinato molto alla letteratura Sudamericana e ho iniziato a disegnare (anche se non sono proprio capace) ma ho scoperto che il disegno nelle sue forme più arcaiche mi aiuta a concentrarmi.
Cosa rappresenta per te il palcoscenico?
Il luogo dove posso parlare di me.
Cosa canta Orfeo sotto la doccia?
“Senza Fine” di Gino Paoli e da quando sono bambino “La collina dei Ciliegi” di Lucio Battisti.
E se ti dico futuro, cosa mi rispondi?
Glastonbury ☺