Il progetto Big Whales nasce nel settembre 2014 dall’incontro di tre amici con la passione comune per la musica: Stefano Paris (voce e chitarra), Federico Fazia (basso) e Luca di Pancrazio (batteria).
Creare brani diretti avvalendosi di una scrittura semplice ed efficace. E’ questo il concetto di base del loro primo album, Bubble Blower, bolle di sapone. Un disco che si è sviluppato nell’arco di due anni, periodo in cui la band ha lavorato anche su idee precedenti e brani incompiuti.
“Bubble blower”, bolle di sapone, perché questo titolo?
Il titolo dell’album rappresenta una critica ad un apparire privo di sostanza…ad un qualcosa di inconsistente che simile ad una bolla è sempre a rischio di esplodere e svanire…
Come sono nati i dieci brani che compongono il disco?
Suonando molto a porte chiuse; la sala prove è il nostro luogo di confronto e ricerca, un posto dove poter mettere in pratica le idee avendo l’immediata percezione di ciò che si sta realmente suonando. Alcuni brani come Bubble Blower, Additive, Last Time sono nati da idee antecedenti e incompiute, altri come Broken Mirror e As A Whirl da idee del momento e lunghe sedute in sala.
Primo album ma un sound già ben definito…
Per le band emergenti la ricerca di un proprio sound diventa sempre più difficoltosa…noi siamo partiti da un concetto essenziale: cercare di esprimerci al meglio con ciò che avevamo a disposizione sia in termini di trio rock, sia in termini di strumentazione e possibilità di espressioni sonore. La nostra è stata più un’operazione di sottrazione e probabilmente proprio questo ci ha condotto alla definizione di un sound semplice ed efficace tuttavia ancora in fase di sviluppo.
L’esperienza acquisita dall’attività live quanto ha influito nella ricerca stilistica di “Bubble blower”?
L’intero progetto è fortemente caratterizzato dalla dimensione live; siamo arrivati agli arrangiamenti finali dei brani partendo proprio da come venivano proposti dal vivo. Chiaramente bisogna tener conto anche dell’esperienza soggettiva di tre musicisti e dell’individuale dimensione sonora che ognuno di noi ha raggiunto nel proprio percorso. Questo sicuramente ha aiutato il sound generale.
“To hide” è sicuramente uno dei brani dalle sonorità più misteriose, ipnotiche. Di cosa parla?
E’ un brano molto personale ed introspettivo, parla di ciò che molto spesso nascondiamo a noi stessi e agli atri, di ciò che facciamo finta di non vedere e di quello che ne consegue…è un brano sulla perdita delle proprie certezze…
Scrivere in inglese è più una scelta o un’esigenza?
Entrambe le cose. Una scelta che privilegia sicuramente l’aspetto sonoro e che permette di lavorare su melodie e parole in maniera differente, sfruttando una lingua dalle caratteristiche fonetiche più morbide e forse più funzionali. Ma da questo punto di vista rimane una scelta personale. Un’esigenza in quanto è sicuramente una lingua per tutti ed espone ad un pubblico più vasto.