«I rapporti affettivi intensi lasciano spesso delle tracce indelebili. E chiunque nella vita sarà stato attraversato dal desiderio che in alcuni attimi perfetti il tempo potesse fermarsi. Il tempo ovviamente prosegue la sua corsa, incurante dei moti delle nostre anime. Rimangono soltanto vivi ricordi. A volte sono di una dolcezza disarmante, altre ci annientano».
Queste sono le parole con cui i My Escort ci introducono “Canzoni in ritardo” , un disco che vede una gestazione lunghissima, contenendo brani scritti dal 1998 al 2013, lunga gestazione che si percepisce anche dalle varie influenze rintracciabili nei brani, che vedono alla produzione Matteo Franzan.
I suoni del disco ricordano il pop rock degli anni 2000, con un sapore che sa tanto dei primi Negrita, forse in gran parte dovuto alle affinità nel timbro della voce, e che va a collocarsi a pieno titolo nella nostra tradizione musicale, con brani in cui sono presenti arrangiamenti interessanti in cui figurano archi, riff di chitarre, pianoforti e fiati. A livello sonoro, salvo qualche eccezione come “Privè”, brano di cui potevamo anche fare a meno, c’è un buon lavoro negli arrangiamenti, che rappresenta già un buon punto di partenza. Il disco necessiterebbe invece di un maggior approfondimento sui testi, già discreti, ma che con qualche aggiustamento in certi passaggi avrebbero le carte giuste per arrivare a una buona fetta di pubblico. Quando la band infatti rischia un po’ di più sulle sperimentazioni e modernizza un po’ il sound, come possiamo ascoltare ne “L’Equilibrio” e “Rimango ad aspettare”, il livello si alza in maniera netta.
Tra i brani da segnalare c’è “Un semplice addio”, che non sfigurerebbe sui palchi di Sanremo o tra i brani passati in radio, con i suoi amari rimpianti; “Qualcosa che non c’è”, che si muove sempre sul filone delle pop ballad che tanto piacciono alle radio, esattamente come “Le cose non cambiano mai”, uno dei pezzi più riusciti e moderni del disco, in cui si sente un certo riferimento verso il cantato di Cremonini.
“Canzoni in ritardo” può considerarsi un condensato della nostra tradizione, che richiederebbe un po’ di azzardo in più per permettere alla band di fare il grande salto e che probabilmente si vede un po’ penalizzato dal grande lasso di tempo in cui i brani sono stati composti.
Egle Taccia