Non essendo gli ultimi arrivati sul panorama musicale internazionale, Jamie Saft (leader di New Zion w. Cyro, membro di The New Standard, collaborazioni con Wadada Leo Smith e Roswell Rudd nonché Slobber Pup, Plymouth, The Spanish Donkey, membro di The New Standard e, soprattutto, elemento essenziale di svariati progetti del genio perverso di John Zorn – The Dreamers, Electric Masada e Moonchild) e Bill Brovold (membro di Rhys Chatham Ensemble, East Villahge Orchestra e Zen Vikings), hanno pensato di celebrare la propria collaborazione mettendo alle stampe un disco, “Serenity Knolls” che suona come la fotografia in movimento (allungata fino all’apoteosi) di quell’incontro.
Un disco che è un omaggio alla chitarra acustica e semiacustica, della quale, Saft e Brovold, ci fanno ascoltare ogni singola sfumatura acustica e sonora, ma anche del legno, dei legni utilizzati per forgiarle, dal primo tocco delle dita sulle corde, appena sfiorate, di chitarre appena accennate, (quelle di Brovold), che vengono a costituire un rarefatto tappeto armonico per lo più finalizzato alle improvvisazioni blues (e non solo) della lapsteel di Saft che, dove possibile, suona anche più leggera ed eterea della chitarra di Brovold. In questo senso, la produzione del disco (registrato al Potterville International Sound di Kingston, New York – dove Saft ormai risiede da anni, e ivi mixato dallo stesso Saft e dal suo collega Christian Castagno) è del tutto consona ed efficace: i suoni sono riprodotti in una maniera ossessivamente precisa, anche con un impianto mediocre ogni singola sfumatura di dita, corde, legno e meccaniche degli strumenti come degli ampli si percepisce in maniera perfetta.
Il risultato è decisamente spiazzante: la forma canzone è sostituita dalla mera improvvisazione, i normali riferimenti intro/strofa/ritornello/bridge/coda vengono destrutturati in intro sempre appena accennati e che prendono forza e vigore solo in ragione del mood dei due artisti.
Solo poche tracce si allontanano da questo clichè per ricondursi alla forma canzone, gli episodi migliori, ovviamente. Parliamo dell’incipit, “Sweet Grass” un blues acidissimo – con divagazioni armoniche assolutamente spiazzanti – che sarebbe stato assolutamente a suo agio vicino a “See Emily Play”, al centro del quale la lap steel di Jamie Saft entra in maniera assolutamente esplosiva: il miglior episodio dell’album di certo. O come “Bemidji” nella quale gli echi floydiani si fanno più recenti fino a toccare dark side of the moon se il quartetto inglese avesse deciso di suonare un disco acustico.
Siamo nella foresta americana, abbastanza accogliente, ma nella quale bisogna sapersi muovere per non disturbare l’ambiente circostante: Jamie Saft e Bill Brufold ci offrono la loro, personalissima, chiave di lettura per rimanere qualche ora into the wild. Il risultato è pregevole solo a condizione di perdersi dentro gli strumenti dei Nostri e nelle loro divagazioni elettroacustiche.
Filippo Basile