Tymbro è il moniker che denomina il progetto artistico ideato da Gianpiero Timbro, musicista e sound designer con all’attivo due album con gli Oniric. Oltre i confini della band, Gianpiero Timbro ha approfondito lo studio di vari strumenti, partendo dalla batteria e poi dalla chitarra, sino ad approdare sulla sponda dell’elettronica che ha coinciso con una raggiunta maturità compositiva, realizzando progetti di sonorizzazione per film, rappresentazioni teatrali e reportage.
Due anni dopo avere avviato una collaborazione con la label Scene Music Records, vede la luce il primo album solista intitolato “Don’t Panic, you can dream” che raccoglie la rielaborazione di materiale risalente a circa dieci anni di musica, di idee e sperimentazioni sviluppatesi sotto l’egida di un unico flusso sonoro che comprende Radiohead, Sigur Ros, Arcade Fire, ma anche M83 e Air. Determinante in questo senso è stato l’incontro con Fabrizio Greco e Matteo Caretto che hanno sostenuto Gianpiero Timbro nella definizione delle coordinate del nuovo progetto. “Don’t Panic, you can dream” può in qualche modo essere definito come una sorta di concept sulle suggestioni di un viaggio nelle immensità degli spazi siderali, così come le nove tracce su cui si articola l’album rappresentano la proiezione dell’innocenza che appartiene solo agli occhi di un bambino abituato a guardare le cose senza il peso di sovrastrutture da cui si generano i pregiudizi.
Il mood rilassato dell’opener Airport vive di vibrazioni che ricordano gli Air, il successivo Dervish è uno dei brani meglio congegnati e dal respiro ampio in cui l’uso dell’elemento digitale è molto ben bilanciato, mentre Newspaper Asteroid coniuga ottimamente un’idea di pop con arrangiamenti leggeri ma strutturati su suoni non banali, trasmettendo una sensazione di soffice nostalgia. Il primo dei tre brani strumentali Hollie sembra catturare echi dallo spazio, voci lontane che sembrano provenire da un mondo disperso, il secondo X inizia su un patchwork di campioni per poi riprendere le armonie di Dervish con l’abbinamento di un coro di bambini che fanno affiorare suggestioni vicine alla sensibilità di Sufjan Stevens. Chiude la triade Onedrop con la sua densità di spleen post rock e striature che potrebbero appartenere ai Doves di “Lost Souls”. Il disco si chiude con l’electro-pop di Everytime che sfoggia un abito sognante di sartoria digitale.
“Don’t Panic, You Can Dream” è un disco composito, ispirato da una visione precisa della musica e dall’esperienza di chi ha dimestichezza con l’abbinare il suono alle immagini. Potremmo dire un esordio importante che si pone al culmine di un percorso di ricerca che, però, spalanca le porte alla possibilità di esplorare nuove direzioni.
Giuseppe Rapisarda