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No Review

No Review – il folk rassicurante di Stu Larsen in “Resolute”

Stu Larsen deve essere una persona onesta: se la carta d’identità etica di un artista è l’artwork con cui sceglie di vestire la propria musica, Larsen decide per la verità.

Resolute (2017, Nettwerk Records/ Warner Music), l’album del Nostro, ha, infatti, nell’immagine di copertina un bosco di alberi molto alti, attraverso i quali la luce del sole non può passare per illuminare ciò che sta sotto ovvero un solo, piccolo, albero bianco, quasi diafano, appena illuminato di luce propria che, però, non riesce quasi ad essere visto.

Anticipato dall’ufficio stampa di Larsen come pensato e scritto tra un cottage in Scozia, un appartamento in Spagna ed un bunker dell’esercito in Australia, Resolute, di certo rimanda gli echi della Scozia e dell’Australia, (avendo pochissima solarità iberica) essendo qualcosa di molto simile all’immagine di copertina dell’album, qualcosa di cui si sente, si avverte l’essenza, si riesce a percepirne le potenzialità ma per una – a parere di chi scrive – eccessiva timidezza dell’autore conduce a terreni già ampiamente esplorati da altri (molto più blasonati) colleghi di Larsen, evitando accuratamente di cercare soluzioni nuove, restando nell’ambito di un folk cantautorale sempre molto rassicurante. Fino all’eccesso.

Il disco, in effetti, parte bene con Aeroplanes che ha l’incedere iniziale di I’m Easy dei Commodores ma si veste prestissimo subito dell’estetica decadente dei migliori Decemberists: uno dei migliori episodi del disco; si passa, quindi, a What’s a boy to do e i giochi sono già fatti: le citazioni dei Coldplay di Parachutes e dei The Decemberists diventano talmente ingombranti da sembrare più un inspiegabile debito d’ossigeno che un tributo artistico. Con Chicago song siamo dalle parti del folk britannico, con un ritmo di batteria sostenuto che rimanda, a chiare lettere, a ’39 dei Queen di A Night a The Opera, strizzando l’occhio, l’orecchio e l’ugola al James Taylor più sbarazzino; il passaggio un po’ a vuoto di I Will Be Happy and Hopefullu you will be too e si arriva alla piccola perla di Going Back to Bowenville dove il Nostro mescola, sempre e colpevolmente accennandolo, il proprio mood artistico con i pad di tastiere di With or without you (di band irlandese di chiara fama) e le melodie dei Deaf Havana di Happiness: si respira, finalmente, bene.

Ma dura poco.

Di What if si era già sentito nel 2000 (vedi sempre Coldplay, sempre Parachutes) e se di Far From Me non resta grossa traccia se non che siamo dalle parti di Peter Seeger con una dolcezza che Seeger non riteneva necessaria, su By the river è necessario soffermarsi il tempo giusto di riferire che è la fotocopia molto sbiadita di Spies (indovina un po’, l’anno è il 2000).

Abbastanza anonima arriva e passa The straight line e si chiude con Till the sun come back dove Larsen ricorda un po’ i Pink Floyd meno arresi di The Final Cut (Two Suns in the Sunset) e ci ricorda quali possano essere le sue potenzialità.

Resolute, sia ben chiaro, non è un disco brutto, anzi: è ben suonato, ben registrato, ben mixato e masterizzato. E’ un’opera rassicurante, da ascoltare in giornate di pioggia non troppo invadenti quando una piccola ansia corruga appena la fronte e la voce, calda ma senza eccesso, di Larsen riesce a spazzare via ogni preoccupazione.

Ma se fuori dalla finestra ci sono 15 cm di pioggia e il mutuo è il vostro problema, le soluzioni preconfezionate di Stu Larsen non fanno al caso vostro.

Il ragazzo ha talento, ma può fare di più.

Filippo Basile

Written By

Filippo Basile nasce e resiste a Catania, dividendosi tra l’amore mai sopito per la musica (ascoltata e suonata) e l’appassionata attività forense . Consapevole che la musica brutta esiste eccome, ricerca sempre quella migliore, pur sapendo che per trovare l’oro bisogna cercare tra rocce e fango.

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