Se è vero che ogni luogo ha delle vibrazioni proprie dovute alla vita che vi è passata, allora non è un caso che per le registrazioni di “His Spun” Chelsea Wolfe abbia scelto proprio la città di Salem, nel Massachusetts. Non è casuale che la “cantantessa” nera abbia voluto captare le frequenze di quelle anime inquiete che ancora si agitano e che, a distanza di oltre tre secoli, chiedono giustizia per la nefasta mescolanza di paura del diverso e superstizione di cui sono state vittime. In realtà, sappiamo che la caccia alle streghe non è mai finita, viene solo condotta verso altri soggetti ed in forme diverse. La musica di Chelsea è uno specchio di acqua torbida al di sotto della quale si celano profondità abissali, è paragonabile all’urlo di chi precipita da quella altura da cui il diavolo è solito mostrare l’impero fatuo del mondo per offrirlo in cambio dell’anima.
L’album costituisce la tappa naturale di un percorso artistico del tutto lineare ed in cui la qualità media dei singoli episodi si è sempre attestata su livelli molto alti. In quest’ottica allora anche le scelte tecniche in termini di produzione rispecchiano una concezione lucida e coerente. Perché, se le riprese di “His Spun” sono state affidate a Kurt Ballou dei Converge, a cui si deve lo spessore granitico delle chitarre (vedi il pregevole lavoro su “Guidance” dei Russian Circle e “What One Becomes” dei Sumac), e se sono stati coinvolti musicisti del calibro di Troy Van Leeuwen dei Queens Of The Stone Age e Aaron Turner di ISIS e SUMAC, la risposta è una sola: la volontà di conferire matericità alla resa sonora dell’album.
Il doom dell’opener Spun puzza di zolfo e ogni cosa pare schiacciata all’interno di uno spazio claustrofobico, la successiva 16 Psyche, con il suo splendido raddoppio di chitarre in entrambi i canali, diventa un mantra ipnotico che invoca l’avvento dell’apocalisse. Vex è uno sludge spietato segnato dal growl di Aaron Turner che getta sale sulle ferite, mentre il tetro pathos di The Culling esplode con la sua forza straniante. Le pulsazioni post punk di Particle Flux, immerse in languori dark, diventano scintille pronte ad innescare una detonazione liberatoria, così come la magnifica pesantezza di Twin Fawn che sfuma in territori post rock. In Static Hum ritroviamo i Nine Inch Nails disciolti in una soluzione di metal evoluto in cui la compressione delle chitarre restituisce un sentore di inquietudine. Il finale è scandito da Two Spirit, folk arcaico che sembra uscito dalle stanze desolate di “White Chalk” di PJ Harvey, e dalla decadenza ieratica di Scrape.
Diceva Nietzsche: “Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro”. Con “His Spun” Chelsea Wolfe ha definito ancora una volta i contorni della propria arte, codificando le regole di una danza da eseguire sul crinale del baratro: la bellezza si coglie nella possibilità di cadere o di continuare a sfidare le tenebre che sono dentro di noi.
Giuseppe Rapisarda