“Zanin” è l’album d’esordio della giovane cantautrice ligure Margherita Zanin, un album che spazia tra vari generi, attraversando la black music più intima, il blues, con qualche lampo di jazz e di soul, condendo tutto con un pizzico di tradizione nostrana.
La prima cosa che colpisce è la voce calda e ruvida dell’artista che, con l’eleganza di “Piove”, ci invita nel suo mondo fatto di sonorità eleganti.
La sua rivisitazione di “Generale” di Francesco De Gregori, ad esempio, è eccelsa, minimale, per un tributo in cui la voce dell’artista è l’unica protagonista.
Da questo momento in poi tutto cambia, l’italiano lascia il posto all’inglese, i suoni si trasformano, cominciano ad ascoltarsi chitarre in “Feeling safe”, brano molto interessante, in cui la voce dell’artista raggiunge un’intensità commovente. Durante l’ascolto di “I Must Forget” ci rendiamo conto che siamo di fronte a un album che sa mixare il vecchio e il nuovo, intrecciare chitarra classica e pianoforte, con strumenti elettrici ed elettronici, in un disco spesso cupo, ma molto intimo ed emozionante.
La Zanin come una leonessa ferita ci trascina nei lati più oscuri della sua anima rappresentati alla perfezione dalla sua voce. “Travel Crazy” tradisce una vena un po’ più spensierata dei precedenti, per poi tornare malinconico nella bellissima “You’re Better Out”. A questo punto l’artista non poteva non attraversare il mondo del blues con la sua voce azzeccatissima per il genere, per poi salutarci con un finale degno dell’alto livello dell’album, “The Lord Coming Home”, un brano moderno e intenso, forse il più riuscito del disco.
Margherita Zanin è un’artista che va tenuta d’occhio, perché se queste sono le premesse iniziali, c’è da ben sperare per il futuro.
Recensione a cura di Egle Taccia