Che il cantautorato italiano fosse cambiato definitivamente lo avevamo intuito da tempo: oggi il disco dell’artista siciliano Andrea F. , in arte Cambogia, ha nuovamente confermato la tendenza di questi ultimi anni, con la sua vera opera prima “La Sottrazione Della Gioia”.
Cambogia non si limita ad essere però un cantautore, il suo sound è un falso lo-fi, vista la cura negli arrangiamenti.
Nonostante faccia parte appieno della nuova ondata di cantautori (Calcutta, Motta, Cosmo), la sua scrittura è personale e in un certo senso trascende il filone musicale seguito negli ultimi tempi.
Cambogia riesce a scrivere una delle canzoni più belle e struggenti degli ultimi anni, “Un’altra storia di Truffaut”, che con il nuovo arrangiamento prende un slancio che avvicina il siciliano al primo, più potente e apprezzabile Vasco.
L’album è fatto da tracce tutte composte accuratamente, particolare è la cura nell’arrangiamento dei pezzi.
A spiegarmi l’opera di Cambogia è stato, involontariamente e senza conoscere il cantautore, George Saunders, autore del New Yorker che qualche anno fa scrisse: “Qualsiasi pretesa io possa avanzare sull’originalità della mia narrativa è solamente il risultato di questo mio strano background: fondamentalmente io lavoro in modo inefficiente, con strumenti difettosi, in un ambiente in cui non ho abbastanza conoscenza per comprendere tutto. Come se si mettesse un saldatore a disegnare vestiti”.
Al centro de “La Sottrazione Della Gioia” c’è l’originalità e la surreale realtà della vita di un trentenne, piena di risvolti bipolari, indecisioni, paure e strane situazioni.
Quella di Andrea F. è una “Musica per organi caldi”, Cambogia è un Bukowski più discreto e gentile: sia i personaggi del cantautore che quelli dello scrittore sono segnati dal loro tempo, dalle loro esperienze e dalla loro società, ma non per questo sono irrimediabilmente tristi, tutto si muove su una lama molto sottile, dove tutto è fermo e vive e muore contemporaneamente.
La differenza principale in questo paragone è che dal libro di Bukowski vi sentirete massacrati, dal disco invece ci si può aspettare calma, quiete, riflessione. Cambogia provoca una serie di emozioni indescrivibili in una recensione, facendovi oscillare continuamente tra felicità e depressione assoluta.
Se l’autore americano non riusciva ad affrontare la vita da sobrio, il cantautore siciliano riesce a dare un sound molto essenziale e in alcuni pezzi addirittura finge un suono da ballad melodica (Un’altra storia di Truffaut)
Il mondo raccontato è un universo nell’intercapedine tra la camera da letto, un divano e l’appuntamento dei nostri sogni. L’amore è raccontato come una figura onirica, sfuggente: quando si parla di sentimenti nel disco è come trovarsi dinanzi una bambola retrò, piena di crepe, ma allo stesso tempo incredibilmente romantica.
Cambogia va oltre l’indie pop italiano, il suo sound è molto internazionale e dimostra come in Italia stiamo diventando bravi a creare dei prodotti che rispecchino la contemporaneità.
La speranza o la paura che viene alla fine di un disco del genere è insita nel capacitarsi che ormai i tempi sono mutati e nuove statue a giovani dei sono state erette: riusciranno i nuovi monumenti a superare il loro tempo?