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NoReport – Rough Enough: una nuova “spider” a Catania


Tra le tante tappe che segnano la vita della maggior parte di noi, una di queste è l’acquisto della prima automobile.

C’è chi ci arriva in modo privilegiato (ma questo caso non c’interessa) e chi sudando, mettendo da parte poco alla volta i soldi necessari, ritrovandosi alla fine tra le mani forse non proprio l’auto dei sogni, ma sicuramente un buon mezzo che li aiuterà a realizzare tutti gli altri. I Rough Enough hanno afferrato con orgoglio quest’ultimo volante e ce lo hanno mostrato…

Sono stato a Catania per il quarto atto di LOUD, Alternative Tunes, la nuova rassegna di concerti (+ DJ set post live) organizzata da Blow Rock in collaborazione con il Centro Culturale Zo di viale Africa. L’occasione è anche la presentazione di Molto Poco Zen, il secondo album di inediti dei Rough Enough: giovane duo catanese composto da Fabiano Gulisano (chitarre e voce) e Raffaele Auteri (batteria e cori).
La manifestazione ha già visto salire sul suo palco nomi di diversa caratura, come i navigati e internazionali Uzeda (orgoglio cittadino), il poliedrico e girovago Fabio Abate (già collaboratore di Carmen Consoli) e gli amati e sempre innovativi A Toys Orchestra (sesta volta a Catania), accompagnati da brevi live di apertura di giovani musicisti locali.
Questa volta è l’atto unico di una band etnea ad “aprire e buttare giù” le porte dello storico locale delle Ciminiere, con tutta la forza e la voglia di chi non vede l’ora di farsi conoscere.

È un sabato sera catanese un po’ atipico per l’inverno, con una movida caotica e piena di eventi come non se ne vedevano da tempo in città. Saranno state congiunzioni astrali (s)favorevoli o l’abolizione della povertà (!?!), fatto sta che, tra serate disco di ogni genere (sempre piene, maledetti!) e la contemporaneità di altri due live rock in altri famosi locali della zona, la confusione per strada è tanta, ma il pubblico purtroppo è molto frammentato…
Pazienza. “Noi” ci siamo e con tanto entusiasmo, perché per Nonsense Mag, Fabiano e Raffaele sono di casa: li abbiamo già conosciuti nelle sezioni NoNew e NoReview, intervistati in occasione del primo lavoro e dell’uscita del nuovo album, seguito del debut Get Old and Die che già ci aveva fatto una buona impressione.

We are Rough Enough, and play”… tutto quello che non ti aspetti di questi tempi in cui l’itpop la fa da padrone (con merito o meno, a seconda dei gusti). Look essenziale, jeans e felpa per Fabiano, in stile Amari o Beastie Boys, hipster-punk con ironia per Raffaele, in stravagante tenuta estiva da calcetto.
Qualche parola di benvenuto, soprattutto ai numerosi e rumorosi amici che occupano le prime file e parte un intro di improvvisazioni;  poi il primo singolo uscito, Mackie che ci riscalda subito con le sue chitarre. Sulla stessa serie di drop, seguono Bisturi (da GOaD) e Una lunga serie di scelte sbagliate. Ode ai relitti cambia il passo rallentando un attimo per introdurre Finché morte non ci separi, “l’unica canzone d’amore”, come la definiscono loro (!?)… Blob e Sala d’attesa (da GOaD) per respirare un po’.
Altri tre brani dal primo album, Face the day, #42 e Big All, cantati in inglese ( come si può intuire dai titoli), prima di una pausa con la “responsabilissima” Non è colpa mia.
Scorre già molta acqua nelle loro gole e birra nelle nostre. Si riprende a saltare di gusto con Il quarto Stato e Polvere, che mostrano un’affinità più limpida tra i due… Fab&Raf  non si conoscono da moltissimo tempo: Raffaele non c’era nel primo album, ma l’alchimia e la complicità si vede e, soprattutto, si sente nei brani del secondo disco.
I Rough Enough parlano molto fra di loro e cazzeggiano… interagiscono col pubblico. Ci raccontano in particolare di UFO, personaggio incontrato nel loro percorso che, a suo modo, ha voluto suggerirgli una strada più nazionalpopolare per i testi in italiano (vedasi il messaggio vocale, omonima traccia del disco); ovviamente inascoltato sin da subito e parodiato con Kairo, che non è un “indieriferimento” ad alcuna città.
Un intro di “atoysorchestrana” memoria (ricorda vagamente l’inizio di Peter Pan Syndrome) apre Noia, per me uno dei pezzi più riusciti del disco, nonostante poco sopporti il cantato/recitato. Fabiano chiude questa fase pseudo finale del concerto, coi suoi movimenti da rocker consumato, misti a curiose e teatrali espressioni facciali ammiccanti, che fanno da contorno ad Esercizio di stile (nomen omen).

Arriva sfacciatamente dichiarato il rito-gag dell’uscita e del richiamo per il bis.
Tempo 30 secondi e i due rientrano, con Raffaele che sfodera il suo “feticcio must” (per chi lo conosce bene): si toglie la maglietta per omaggiare il suo idolo Mike Wallace, batterista dei canadesi Preoccupation, e parte il secondo singolo radiofonico, che dà anche il titolo all’album, Molto Poco Zen.
La performance raccoglie l’ampia riserva di energie e allontana la stanchezza.
Il brano si prolunga nella gost track Turbo, dove i colpi sul rullante e i suoni di un synth artigianale, ricavato da un vecchio controller della console Super Nintendo, ci “spettinano” ancora una volta…
19.05 (da GOaD) e la nuova traccia Ubi Maior Minor Cessat, anticipazione inedita di quello che sarà il futuro terzo disco, sono la conclusione vera di questo viaggio sudatissimo e allo stesso tempo rinfrescante, in una piccola 2 posti decappottabile, ancora in fase di rodaggio, ma già dalle prestazioni ragguardevoli.

Perché quello che abbiamo visto e sentito stasera è stato proprio questo: due ragazzi talentuosi che hanno mostrato la loro “macchina nuova” agli amici, in una situazione allegra di festa. Simpatici e umili quanto basta, “abbastanza ruvidi”, ma in continua fase di crescita e con una esigenza spasmodica e sincera di dire la loro, con la voglia di fare e pretendere di più, a partire da se stessi. Su questa potenziale spider ci siamo saliti tutti volentieri.

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- "Cosa vuoi fare da grande?" - Il Mangoni degli Elio e le Storie Tese, ma per gli Arctic Monkeys.

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